Sepolcro barone Marco Trigona, XVII sec., Cattedrale, Piazza Armerina
Sepulcher baron Marco Trigona, 17th century, Cathedral, Piazza Armerina

venerdì 11 gennaio 2013

Pronto, chi parla?

Via Garibaldi ex strata u' Princp
Proprio nell'edificio dove oggi c'è la gioielleria "Caruso-Lorito", negli anni '50 e '60, si trovava il Centralino telefonico. Infatti, in quegli anni, la connessione tra telefoni non avveniva direttamente facendo il numero, ma occorreva passare dal Centralino, dove i centralinisti chiedevano il numero col quale ci si voleva collegare. I collegamenti venivano fatti con un cavetto, alla fine del quale c'era lo spinotto che si inseriva nella linea corrispondente al numero richiesto, dopodiché si girava una manovella per far squillare il telefono chiamato. Tutto ciò poteva essere fatto da uno, all'inizio, o da più centralinisti, in seguito, solo perché gli abbonati non erano più di 200, superando i quali il servizio poteva diventare automatico. Chi non aveva il telefono a casa, doveva recarsi in via Garibaldi e aspettare pazientemente la chiamata, per poi entrare in una delle cabine a disposizione (forse 3). Prima del centralino c'era il salone del barbiere Giarrizzo, dove spesso andava mio nonno Tatano Marino Albanese avendo, proprio lì di fronte, il negozio di mobili. Come centralinisti ci lavorarono la zia di mio padre, Biagina Labrozzo, la signorina Di Rosa, conosciuta anche perché catechista a Santa Veneranda, e L'ddùzzu Di Giorgio, per il quale l'insegnante-poeta-pittore piazzese, Gioacchino Fonti (1926-1994), scrisse la poesia in gallo-italico "L'ddùzzu" (Lillino) che si può leggere nel Calendàri a ciaccesa di Lucia Todaro in settembre 2012.

Gaetano Masuzzo/cronarmerina

1 commento:

  1. Ricordo solo L'dduzzu al lavoro. Allora si andava al centralino solo in casi eccezionali. Con il passare degli anni riuscimmo a mettere il telefono in casa, solo che era un duplex (prendere o lasciare). Ciò significava avere il telefono in comune con un'altra famiglia. Quando loro parlavano noi eravamo isolati e dovevamo aspettare che la linea fosse libera. Ricordo anche il telefono a manovella che aveva il sig. Gino Anzaldi nella sua falegnameria in via Cavour. Prima di parlare doveva fare alcuni giri di manovella per chiedere la linea; non c'era la cornetta tradizionale, ma bisognava avvicinarsi all'apparecchio e parlare, mentre si appoggiava un "cornetto" all'orecchio. Gaetà, tu sei giovane e queste cose non le ricordi.

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