Sepolcro barone Marco Trigona, XVII sec., Cattedrale, Piazza Armerina
Sepulcher baron Marco Trigona, 17th century, Cathedral, Piazza Armerina

martedì 28 luglio 2015

Dedicata all'anonimo



Ieri dal poeta piazzese Tanino Platania, ho ricevuto questa poesia a supporto del commento scritto dall'anonimo il 26 Luglio 2015 alle ore 14:42 sul post "A volte ritornano (i foresteri)"
 
Gaetano Masuzzo/cronarmerina

sabato 25 luglio 2015

A volte ritornano (i foresteri)

Quella sera in pizzeria
Un recente commento di una visitatrice relativo alla poesia di due anni fa circa*, mi ha convinto a riproporvela perché, anche se molto semplice, arriva subito al cuore di chi prova da sempre amore-odio per questa città e, soprattutto, di chi ha la fortuna-sfortuna di starle lontano.

7 agosto 2013, ore 20,00

A FORESTERA, in occasione della solita rimpatriata annuale con gli amici paesani ci legge, prima della pizza, i suoi sentimenti scusandosi della non perfetta trascrizione in piazzese. Ma dato che quello che conta è il pensiero e il sentimento, ugualmente Le diciamo un grosso e commosso GRAZIE.

A P'ZZADA DI FORESTERI

A fajoma tutti l'anni, com 'nsegnal d r'conoscenza,
quasi d'affettu p coddi ch' tanti anni fa s' n' vossnu annè
fora d Ciazza pu b'sogn d travagghiu c'rchè!
E p' coss, cu na parodda nan tant s'mpat'ca,
i chiamoma "FORESTERI".

Ma gghiè na cosa da sutt'l'nier:
sti "FORESTERI", tutti l'ann
e quarch'dun ciù e ciù d na vota l'ann
torn'nu o m'ttent,
com a vulè scusa dumannè
o pais d'avirlu bannunè! 

Accussì, pi chiù fortunadi,
no mis d' giugnett, aost p l'autri,
a storia s r'pet... sempr codda... sempr a stissa!
Appena cumenzn a r'sp'rè a 
BEDD'ARIA FRISCA DA B'DDIA
ch gh stuzz'ca l'oggi e a fantasia,

u cor gh canta p l'emozion,
pur s'a bocca resta muta,
sti foresteri tornan
d'arrera n' l'anni da bedda gioventù,
quann d'jevan
"IU, D CIAZZA, NON ME NE ANDRÒ MAI PIÙ!"

Poi i vacanzi f'nisc'nu e pi foresteri riva u jornu d'annessn via.
S'hanna lascè d'arrera i spaddi a sol'ta
BEDD'ARIA FRISCA DA B'DDIA.
Stavota però a mus'ca cangia.
U cor n'an canta ciù...
l'oggi nan rid'nu ciù,

anzi s'annebbianu p l'emozion...
e i paroddi, nan sempr ditti,
p nan fè capì a cu t sta statu o sciancu u to rammarcu,
ch' magari nan gh crid ch'è veru,
nan su ciù i stissi d tanti anni fà!

E sì... i paroddi cang'nu.
E qual' su?
 "IU, CIAZZA, NAN MU POZZ SCURDÈ CIÙ"

ROSALBA TERMINI
(a forestera) 

*Per puro caso ho conosciuto l'autrice di questi magnifici versi, devo ammettere che, da non piazzese autoctona (ma ci vivo oramai da parecchio) mi ha emozionata, complimenti. Lidia Salafrica Curcuraci  

Gaetano Masuzzo/cronarmerina 

giovedì 23 luglio 2015

Quando scappava negli anni 30 - 1

Sötta u ciàngh d'u Duiliu
 Attraverso la lettura delle poesie in galloitalico del poeta-falegname Carmelo Scibona (1865-1939), apprendiamo che oltre a quei tre da me elencati nel post "Quando Scappava" del 5 gennaio 2013, di orinatoi o vespasiani a Piazza ce n'erano almeno altri due, in punti altrettanto strategici. In questo modo i maschietti potevano evitare  di "andare, andare, andare" dietro le solite cantunère o agli angoli delle chiese e in posti più o meno appartati. Tutta questa difficoltà perché non c'era l'abbondanza di locali pubblici, bar, caffè, gelaterie, tavole calde, come adesso. Se andava bene c'era qualche cantina o d'spénza aperta e non era detto che avesse i servizi veramente efficienti. Oggi il poeta ci fa sapere che sotto il piano Duilio ce n'era uno che sembrava un loculo o una piccola cappella del cimitero.

U p'sciarö' di Buttieddi¹

Sötta u ciàngh' d'u Duiliu
Ghj'è na speci d' gabbina
Dummannai l àutra mattina
A cu gh'an'a s'tt'rrè.

Chi gabbina! è capella,
M' rispönn' na v'sgina,
Cössa è fatta d'ordu d' Farina.
S' vo tras', a pò guardè...

Iè, curiös' o sölt mì,
M' v'sgin e tras' sò.
Ma qual fu a maravègghia?
Ddà va tröv: u p'sciarò.

Carmelo Scibona
(U Cardubu, 1935)

(L'orinatoio delle Botteghelle- Sotto il piano del Duilio /C'è una specie di cabina /Chiesi l'altra mattina /Chi vi hanno sotterrato. /Che cabina! È cappella, /Mi risponde una vicina, /Questa è fatta per ordine di Farina. /Se vuole entrare, la può guardare... /Io, curioso al solito mio, /Mi avvicino ed entro solo. /Ma quale fu la meraviglia? /Là vi trovo: l'orinatoio.)

¹E' il titolo che troviamo nel manoscritto rappresentato da un grosso quaderno a righe con copertina nera di 210 pagine I mî f'ssarî dove sotto il titolo è riportata, da altra mano e inchiostro rosso, la data 1932.

(tratto da C. Scibona a cura di S. C. Trovato, I mì f'ssarì - U Cardubu, 1997, p. 174)

Gaetano Masuzzo/cronarmerina

sabato 18 luglio 2015

Edicola n. 29

Questa è l'Edicola/Cappella n. 29 in c/da Santa Croce, dedicata alla Sacra Famiglia, come si può vedere dalle statuette poste al centro del piccolo altare, dentro un tabernacolo in marmo, anche se è piena di statuette varie, come quella di Padre Pio, subito dietro la porta in ferro. Muratura robusta in pietra locale, si trova a pochi passi dalla nuova rotonda con a centro una grande croce in pietra. Sia la croce che l'edicola sono le uniche cose che ci ricordano che in quel luogo esisteva una chiesa. Infatti, sin dall'inizio del 1300 in questo sito, a Sud dell'antico centro abitato, è registrata la presenza della chiesa di Santa Croce. Allora le chiese, più o meno grandi, della nostra Città erano 17 e nel 1600 ve ne fu un'altra con lo stesso nome nei pressi della chiesa di Santa Barbara, nell'odierna via Roma. 
La grande croce (di tipo commissa o latina) in pietra, che alla base ha scolpito l'anno 1714* e la scritta DEVOTION insieme ad altre indecifrabili, pur essendo più piccola, ha la stessa collocazione (con direzione Ovest-Est) della traversa delle altre due che ci sono davanti la chiesa della Madonna delle Grazie dei Cappuccini (anno di costruzione 1603 ca.) e di San Pietro dei Francescani Osservanti Riformati (anno di costruzione 1606)**. Indiscultibilmente doveva indicare la presenza in quel sito di un convento francescano di cui, però, non abbiamo notizie. Sappiamo, però, che le tre croci erano mete di pellegrinaggio e tappe fondamentali di molte processioni religiose.

*La data potrebbe riferirsi non all'anno di costruzione, che deve essere invece collocato nello stesso periodo delle altre due, bensì all'anno di riutilizzo di parti della chiesa e del convento scomparsi per danni irreparabili e, perciò, a loro perenne ricordo. Tutto questo viene avvallato dai due lastroni, facenti parte dell'architrave di un grande portale, che fanno da cornice superiore del basamento della croce. 
**Quella dei Francescani Osservanti Riformati di Santa Maria di Gesù è, invece, in ferro con traversa (direzione Nord-Sud), mentre di quella che avrebbe dovuto indicare il convento dei Francescani Conventuali, poi Ospedale Chiello, non si hanno notizie.

Gaetano Masuzzo/cronarmerina        

giovedì 9 luglio 2015

Fontana c.da Minnelli / n. 40

E' la fontana/abbeveratoio di una contrada nei pressi di Mirabella Imbaccari. Il nome completo della contrada è Piana di Minnelli e, come si vede nella foto, si tratta di una vasca grande e molto semplice nella struttura. Anticamente questa contrada era un màrcato (frazione di un feudo) di Imbaccari Sottano. Il feudo di Imbaccari comprendeva i màrcati di Imbaccari Soprano o Superiore (suddiviso in Sortavilla Soprano e Sortavilla Sottano) e Imbaccari Sottano o Inferiore (suddiviso a sua volta in Baldo Sottano, Baldo Soprano e Piana di Minnelli). Nel 1610 il barone Giuseppe Maria Paternò chiese al re e ottenne il permesso di popolare un nuovo borgo nel suo feudo di Baldo Sottano dandogli il nome della famiglia Mirabella, della quale faceva parte la seconda moglie, Eleonora baronessa di Ricalcaccia sposata nel 1595. Quattordici anni dopo il figlio di Giuseppe, Giacinto, dovette trasferire il nuovo borgo in una zona vicina e più salubre, quella di Imbaccari Sottano. Mirabella fu chiamata anche Terra di Mirabella sino al 1862, quando venne aggiunto il nome Imbaccari

Gaetano Masuzzo/cronarmerina

sabato 4 luglio 2015

Altri due importanti fotografi del '900

Foto effettuata dal fotografo Alfonso GRECO BONANNO
Foto effettuata dal fotografo Giovanni GRITA
Nelle ultime settimane ho recuperato altri due importanti fotografi dell'inizio del secolo scorso, che operavano nella nostra Città e in quelle vicine. Il primo è un certo Alfonso GRECO BONANNO del quale abbiamo una foto (in alto). Doveva essere un fotografo abbastanza importante perché lo troviamo nell'ANNUARIO del "CORRIERE FOTOGRAFICO" di MILANO del 1914 ca., Elenco Generale dei Fabbricanti, Negozianti e Fotografi d'Italia, Italia Insulare, Sicilia, Provincia Caltanisetta, Piazza Armerina (n.d.r. Caltanissetta, allora nostra provincia, nell'Annuario risulta scritta con una "s" dove, inoltre, è riportato il paese di "Branca Franca" invece di Barrafranca).
L'altro nominativo è quello di Giovanni GRITA, presente anch'egli nell'ANNUARIO di cui sopra ma nella Provincia di Catania, precisamente a Caltagirone. Risulta scritto solo con l'iniziale del nome "G", ma da alcune fotografie sappiamo che si tratta di Giovanni. Ho chiesto a un conoscente omonimo e mi ha confermato che si tratta di Giovanni, uno dei due fratelli di suo nonno Giacomo GRITA*. Giovanni abitava e lavorava a Caltagirone, ma spesso la sua attività era richiesta anche a Piazza, come risulta da tante foto ritraenti piazzesi della fine Ottocento e inizio Novecento come, per esempio, la foto in basso, oppure le foto dei genitori del martire antifascista Salvatore Principato viste in una mostra al Monte Prestami di Piazza Armerina nel 2010.

*Giacomo GRITA (1877-1966) era il padre di Massimo GRITA, indimenticabile libraio degli anni 60 e 70 di via Garibaldi 89, proprio all'angolo della salita San Giovanni Evangelista (oggi sede di un pub). Inoltre, potrebbe essere lui il Giacomo GRITA che risulta anche nell'ANNUARIO come fotografo nei primi anni del Novecento, ma a Modica, allora in provincia di Siracusa. Rappresentanti della famiglia Grita originaria di Caltagirone, li troviamo anche ad Agrigento nella seconda parte dell'Ottocento. Si tratta delle due figlie di Salvatore, grande scultore e giornalista di Caltagirone (1828-1912). Infatti, Rosina e Maria impararono l'arte fotografica dal padre e nell'atto di morte redatto presso il comune di Agrigento sia le figlie che la madre sono dette di professione fotografe.    

Gaetano Masuzzo/cronarmerina