Sepolcro barone Marco Trigona, XVII sec., Cattedrale, Piazza Armerina
Sepulcher baron Marco Trigona, 17th century, Cathedral, Piazza Armerina

mercoledì 31 luglio 2013

Grazie Luglio


Grazie Luglio

Luglio caro che te ne vai
grazie tanto di essere stato qui con noi.
Grazie per tutti i tuoi giorni,
per il caldo, il sole, il vento, i tuoni,

per le tue notti stellate,
al mare per le passeggiate
e per tutte le serate
e per le cose già passate.

Questa notte quando te ne andrai
sarà scritto nelle stelle,
anche quest'anno 
Luglio ne ha fatte di cose belle.
Ciao Luglio, a Dio piacendo
il prossimo anno ci rivedremo. 

Roberto Lavuri

U purtöngh du Purgatoriu

L'Anima Purgante* sull'arco del portone

Questo nella foto è il portone della chiesa delle Anime Sante del Purgatorio nella nostra via Umberto già Strata Fera, a un passo dalla piazza Garibaldi. La chiesa è chiusa alle pratiche religiose ormai da tanto tempo, ma sino a qualche decennio fa era tra le più frequentate dai fedeli piazzesi, mio padre fu cresimato proprio in questa chiesa nel 1931 e mia madre da piccolo mi ci portava spesso. Fu aperta al culto nel 1679 sotto il nome di Anime Purganti e Maria SS. della Carità e, consacrata nel 1762, era la sede del Sodalizio dei Sacerdoti sotto il titolo della Madonna della Carità. Osservandolo bene (oggi per l'occasione ho rimesso la foto grande nel frontespizio del blog) si notano almeno cinque cose: a) la conchiglia di cui abbiamo parlato nel post dedicato a S. Giacomo di Compostela; b) la scritta scolpita in latino "E' sano pregare per i defunti, 1729"; c) la chiave di volta dell'arco in precario stato che potrebbe cadere da un momento all'altro con conseguenze ben immaginabili; d) nel portone in basso a sx l'esistenza del foro per favorire il passaggio dei gatti, il cosidetto gattarö o in piazzese moderno gattarolu; e) sempre nel pannello in basso a sx, quasi al centro, l'esistenza di un foro orizzontale che permetteva l'offerta di monete per le elemosine. Concludo ripetendo ancora una volta quanto sarebbe essenziale rendere agibili e quindi visitabili le tante chiese presenti nel centro storico, rivalutandone le migliaia di opere d'arte. Immetendole in un circuito storico-artistico ben indicato e illustrato indurrebbe il turista a permanere almeno un altro giorno nella nostra Città, con ripercussioni economiche non indifferenti, invece di vederle crollare insieme alla nostra economia. Sarebbe il caso di coniare un altro slogan: NON SOLO MOSAICI. Gaetano Masuzzo/cronarmerina.blogspot.it

*Nella foto in alto la scultura che caratterizza il nome della chiesa: l'Anima Purgante con le fiamme che l'avvolgono. Questa caratteristica la troviamo anche nelle due grandi statue in alto della facciata e ai lati del campanile della chiesa di S. Stefano, sede del Sodalizio delle Anime Sante del Purgatorio dei Preti e degli Artisti sotto il titolo di S. Gregorio Magno. Ambedue le chiese furono erette nella seconda metà del Seicento, quella di S. Stefano fu eretta sull'antico cimitero esistente poco fuori le mura a due passi dalla porta della città intitolata a San Giovanni Battista. 

martedì 30 luglio 2013

Come il fiume

 

Così come il fiume


Il corso di un ruscello, 
acqua limpida e fresca,
scende precipitosamente
dall'alto della sua generatrice.

Scosceso ed impetuoso 
trascina con se detriti 
scavati nella dura roccia,
facendosi strada fino alla valle.

Pianura industrializzata,
cuori avvelenati ed avidi 
gli scaricano dentro 
uccidendo ogni cosa che vive in lui.

E' un fiume tranquillo,
grande sì ma docile,
inquinato da tutto ciò che lo circonda
e stanco e silenzioso si trascina verso il suo destino.

Novembre 1990                                  Sergio Piazza

I Ciappèdde

Gli attrezzi necessari: i Ciappèdde
Per questo gioco, diciamo un po' grezzo e per questo molto semplice, occorrono delle pietre piatte non più grandi del palmo della mano, se no diventano poco maneggevoli, ma neanche più piccole, se no sono poco precise, specie nei lunghi lanci. Questo tipo di pietre noi le chiamiamo CIAPPÈDDE ovvero piccola CIAPPA = lastra di pietra, quindi piccola pietra piatta, anche se nel piazzese più recente la E finale ha ceduto il posto alla I (cappèddi). Per cultura generale vi ricordo che il piano Cattedrale* essendo originariamente mattonato da questo tipo di pietre locali, ma molto più grandi, veniva chiamato Piano Ciappèdde. Continuando a parlare del gioco è bene specificare che se non si vuole "rischiare" di vincere sempre, occorrono almeno due giocatori con una ciappèdda a testa. Le ciappèdde, facilmente reperibili in passato anche nel centro abitato, si lanciano a turno verso la ciappèlla più piccola chiamata MÈRCA o MÈRCU (bersaglio) da non confondere con MÈRCH che sarebbe u mèrcu sanguinante, cioè una ferita. Dopo aver lanciato u mèrcu, a una distanza che il lanciatore ritiene alla sua portata, uno degli altri inizia a lanciare cercando di avvicinarsi il più possibile al bersaglio. Alla fine dei lanci vince chi si è avvicinato maggiormente. Come si vede è molto semplice e per questo praticato soprattutto nelle scampagnate come Pasqualöngh e Trè d màiu. In questi casi è consigliabile praticarlo nelle ore antimeridiane, prima dei pasti, perchè di solito le bevande, specie quelle colorate di rosso, agiscono dannosamente sui giocatori che diventano molto "allegri" e quindi poco "responsabili" tirando di qua e di là a tantöngh.  In queste occasioni era tradizione che iniziassero a giocare i grandi: padri, zii e qualche volta nonni. Mai le donne, occupate com'erano a röst i cacòcciuli  e i custètti o cust'ceddi. Dopo le prime partite tra grìi, r'sàdi e sföttò i grandi lasciavano il campo, di solito 'n viulètt o viottulu, ai più giovani, così loro avrebbero potuto dedicarsi a faccende più "serie" parlando d polit'ca, affèri e, ancora più interessanti, d còrni d l'autri. Come posta era raro vedere del denaro, tutt'alpiù qualche cartella (figurina) sotto u mèrcu. Il gioco, che si avvicina a quello delle bocce, appunto perché praticato su campi irregolari non ha come attrezzi sfere o palline, che altrimenti risulterebbero instabili e poco precise, togliendo così u brìu alla base di ogni passatempo. Quindi il gioco è prettamente campestre ma fra "professionisti" risulta non tanto facile, perché occorre molta precisione, specie nei tiri lunghi e nei colpi cosidetti A 'MP'CCHÈR. Gaetano Masuzzo/cronarmerina

* Cattedrale: chiesa principale di una diocesi in cui ha sede la Cattedra Vescovile; Duomo: chiesa principale di una città; Basilica: chiesa di particolare importanza.

lunedì 29 luglio 2013

L'odio

 

L'odio


In un stanza senza luce
l'odio grida vendetta.
Il suo mondo è l'oblio,
va alla cieca, non vede,
perquote, distrugge,
ti sta innanzi, non fugge,
rincorre se stesso.

L'inganno lo chiama patrigno
ma figliastro è il rancore.
Percorre un sentiero di guerra
malvagio striscia per terra.
S'insinua tra tutta la gente
l'invidia è una stretta parente.

Per mano lo tiene
la collera cattiva,
inalza la polvere amara,
per soffocare l'amore
non farti sedurre dall'odio.

Roberto Lavuri


Il segno di vittoria


Le dita a V, alzando l'indice e il medio della mano, soltando da poco tempo indicano la VITTORIA. Inizialmente erano concepite come insulto, come oltraggio particolarmente volgare. In effetti il gesto aveva lo stesso significato che noi conferiamo al dito medio alzato, e ha ovviamente una storia. Il gesto nacque nel 1415 quando ad Azincourt (Passo di Calais - Francia) gli arcieri inglesi di Enrico V inflissero una memorabile batosta ai cavalieri francesi di Carlo VI, in quello che fu probabilmente l'episodio più famoso della guerra dei cent'anni. La sera precedente la battaglia Enrico V arringò i suoi soldati rispolverando un antico spauracchio, raccontando che i francesi avrebbero fatto ai prigionieri quello che i barbari infliggevano agli arcieri romani catturati: l'amputazione del dito indice e medio. L'effetto fu corroborante, l'indomani la cavalleria francese fu sommersa da una pioggia di precisissime e inesorabili frecce inglesi, con gli arcieri che iniziarono a mostrare in segno di sfida l'indice e il medio sollevato di fronte ai loro nemici sconfitti. Senza contare che la V stava per Enrico V il re che li aveva condotti alla vittoria e che era meglio ricordarglielo. Da qui il gesto divenne sinonimo di offesa, con buona pace di chi attribuisce al segno V una matrice araba, impiegato con chiaro riferimento sessuale all'organo femminile che si avvicina al naso, simbolo del membro maschile. Tutto ciò sino alla Seconda Guerra Mondiale quando il politico belga Victor de Laveleye (1894-1945) chiese ai Belgi di scegliere la lettera "V" in segno di battaglia, essendo la prima lettera di VICTOIRE (vittoria) in francese e di VRIJHEID (libertà) in olandese. Fu l'inizio dell'introduzione della "V" come VITTORIA adottato da noti uomini politici come Winston Curchill e Richard Nixon, o da tanti sportivi più o meno "campioni" !  

Gaetano Masuzzo/cronarmerina.blogspot.it     


domenica 28 luglio 2013

Famiglia Paternò

Di rosso a quattro pali d'oro attraversato da una banda d'azzurro
La famiglia Paternò discende dalla Casa Sovrana dei Conti di Barcellona e Provenza e da quella Sovrana degli Altavilla. Il suo capostipite è Roberto d'Embrun (1050-1085 ca., il cui stemma è come quello della Casa Sovrana di Barcellona) che nel 1070 segue il Gran Conte Ruggero in Sicilia e per aver conquistato la cittadina di Paternò, ne assume la signoria feudale e il cognome, oltre ai feudi e casali di Buccheri e di Aylbacar. Dal XIII sec. i Paternò sono insigniti di un vasto numero di baronie e dall'inizio del '600 anche di titoli principeschi e ducali. Nel nostro territorio i Paternò sono presenti dai primi decenni del '400 in tre feudi: Imbaccari, Raddusa e Spedalotto.
Paternò di Imbaccari Sottano
Il feudo di Imbaccari Sottano è posseduto dal 1424 da Gualtiero de Paternò, nel 1503 da Francesco Paternò e nel 1520 da Blandinello Paternò. Nel 1579 se ne investe Giuseppe Paternò insieme al feudo di  Baldo e di Piana di Minnelli (pertinenze di Imbaccari) e nel 1585 vende Imbaccari Sottano alla famiglia Gaffori. Nel 1610 ottiene per Baldo la "licentia populandi" dandogli il nome di Mirabella, in onore della famiglia Mirabella alla quale appartiene la moglie Eleonora. Nel 1624 Giacinto succede al padre Giuseppe e decide di trasferire il nuovo borgo dal feudo di Baldo a quello più in alto di Imbaccari Sottano, per problemi climatici e ambientali. Dopo aver iniziato la costruzione nel nuovo sito nel 1630, acquista definitivamente Imbaccari Sottano dai Gaffori e col comune di Platia chiude la vertenza nel 1635 pagando 200 onze. Nel 1650 ca. eredita i feudi il nipote Gualtiero e poi i figli di questo, Giuseppe e Francesco Maria. Quest'ultimo, senza figli, vende Imbaccari Sottano e Terra di Mirabella a Trigona Luigi nel 1693 e Baldo al fratello Geronimo Paternò nel 1714. Quest'ultimo, nel 1730, dopo aver recuperato Imbaccari Sottano e Terra di Mirabella nel 1734 vende tutti i 3 feudi a Vincenzo Paternò Castello principe di Biscari (l'investitura è del 1737). Alla sua morte, nel 1739, i feudi passano al suo primogenito, Ignazio Paternò Castello Scammacca principe di Biscari detto il Grande. L'ultimo della famiglia Paternò Castello che erediterà i beni di Mirabella nel 1897 è Ignazio, che frazionerà il feudo in piccoli appezzamenti e donerà sia il Palazzo baronale (1928) che il terreno per la costruzione delle Scuole Elementari (1930), prima di entrare tra i Chierici Regolari di S. Paolo detti PP. Barnabiti.   
 Paternò di Raddusa e Imbaccari Sottano
Nel 1503 Francesco Paternò, barone di Imbaccari Sottano, si investe anche del feudo di Raddusa. A Francesco succede Giacinto. Il secondogenito di questi, Vincenzo Maria Paternò Celestri, illustre cittadino piazzese, professore di diritto presso l'Univ. di Catania e Giudice della Gran Corte Civile del Regno, prima acquista nel 1648 il feudo di Recalcaccia e poi riceve nel 1656, dal nipote Gualtiero Paternò, i feudi di Raddusa e Destra. Rimasto vedovo si fa prete e lascia al figlio Giacinto il feudo Recalcaccia e all'altro, Francesco Maria, Raddusa e Destra. Quest'ultimo si sposa con Silvia Trigona dei baroni di Spedalotto e lascia al figlio, Vincenzo Paternò Trigona, Raddusa e Destra dei quali ne risulta barone nel 1713. Dagli sposi Francesco Maria e Silvia Trigona derivano, dopo oltre un secolo, i Paternò di Spedalotto. Ritornando a Giacinto, barone di Recalcaccia o Spinagallo (SR), questi ha una figlia, Eleonora, che sposa Ignazio Paternò Castello principe di Biscari. Il loro primo figlio Vincenzo, nel 1713, risulta barone di Raddusa e Destra. Dopo circa ottant'anni, nel 1790, Vincenzo Maria Paternò è barone di Raddusa e Destra.
Paternò di Spedalotto
1790 Onofrio Paternò è barone di Spedalotto, Gallitano, Alzacuda e Sofiana. 1838 Emanuele Paternò Ventimiglia è marchese di Spedalotto e nel 1848 diventa ministro nel governo siciliano indipendente di Ruggero Settimo. Sempre nel 1848 Vincenzo Paternò Trigona è marchese di Spedalotto e pretore di Palermo e fa parte del Comitato Generale della Rivoluzione.  

Gaetano Masuzzo/cronarmerina     

sabato 27 luglio 2013

La felicità


La felicità

La felicità è vita che nasce,
è un momento che fugge.
Non ha prezzo, non pesa,
eppure costa cara
come merce rara.

Non la  puoi comperare
perché viene spontanea.
E' libera la felicità,
come una farfalla
svolazza qua e là.
E' capricciosa la felicità,
si posa per gioco 
e poi se ne va.

Danza come una sposa
e nei cuori riposa.
La felicità è per tutto e per niente,
la felicità per la vita, l'amore,
la gloria e l'onor ti darà,
col suo prezzo che ti chiederà. 

Roberto Lavuri



Fontana c/da Rabugino-Donna / n. 6



Questa fontana si trova in una campagna di contrada Rabugino*. L'acqua fuoriesce da una testa di CULÒVRIA murata di recente, forse dopo l'asportazione della precedente. L'acqua che esce va prima in una piccola vasca a forma di conchiglia, poi si raccoglie in una grande vasca ottagonale. Oltre all'ampiezza della vasca, colpisce l'inclinazione verso l'interno dei bordi in pietra, probabilmente per favorire il lavaggio degli indumenti alle donne che approfittavano della grande portata d'acqua. Immersa tra i tròfi d giardìng è così grande perché doveva b'v'rèr una grande distesa d n'zzòli. U giardìngh aveva bisogno di molto lavoro durante l'anno e veniva irrigato almeno 20 volte: u travàggh era traff'cös ma ntr' aöst e s'ttèmbr dòp a scutulàda ggh'era a cugghiùa a cui partecipava tutta la famiglia, rànni e p'ccìddi. Gaetano Masuzzo/cronarmerina

*Con una e-mail Pippo di Giorgio mi ha precisato che la contrada dove si trova questa gebbia è conosciuta, soprattutto tra gli ultrasessantacinquenni, come la chiamavano suo nonno e suo padre, contrada Donna. Pertanto la chiameremo Fontana di Rabugino-Donna.

venerdì 26 luglio 2013

Canadesi al piano Duilio

La delegazione canadese e il Sindaco

Il 93enne capitano S. Atkinson con la moglie

Onore ai caduti di piano Duilio

Il diploma di commemorazione 1943-2013

Dopo 70 anni sappiamo chi sono

Dopo 70 anni siamo in grado di dirvi chi sono i due canadesi nella ormai arcinota foto scattata la mattina del 16 luglio 1943. Molto probabilmente i due militari si trovavano all'inizio dell'odierna via Machiavelli, all'altezza del muretto che prima delimitava la Villa Arena dalla carrozzabile per Gela, oggi a sx, poco prima il negozio di materiale edile "Vitali". La foto, scattata dall'anticarrista Scherry Atkinson, oggi capitano a Piazza nella delegazione canadese all'età di 93 anni, ritrae a sx il maggiore Billy Pope e a dx il tenente colonnello Ralph Crowe. Tutti facavano parte del ROYAL CANADIAN REGIMENT e mentre il Capitano fotografo è a Piazza fra noi, l'ufficiale di sx morì il giorno dopo nella furiosa battaglia di Valguarnera, mentre quello di dx morì una settimana dopo nella battaglia di Nissoria. Gaetano Masuzzo/cronarmerina.blogspot.it 

Lapide nascosta del vescovo Sturzo


Grazie alla segnalazione di Alessio Pace abbiamo conosciuto l'esistenza di questa epigrafe, accanto a una modesta edicola con un piccolo quadro con stampa della Sacra Famiglia, ma non per questo meno importante. Infatti, si tratta molto probabilmente di una lapide recuperata da altro sito e sistemata dopo na cantunera scendendo a dx e sotto un balcone di via Sotto Santa Chiara, cioè a non più di 70 metri dalla centralissima via Umberto. Le cose più interessanti sono due: a) riporta una preghiera di Mario Sturzo, VII vescovo della nostra Diocesi dal 1903 al 1941, di cui è iniziato il processo canonico di beatificazione e canonizzazione; b) la preghiera è di liberarlo dal "contagio della moda". Di quale moda si tratta ? Forse della "moda" di essere fascisti, visto il contesto temporale in cui era vissuto con non poche difficoltà, specie di carattere politico e filosofico ? Inoltre, con l'occasione, desidero evidenziare, appena ci si allontana di qualche metro dalle vie Mazzini, Garibaldi e Umberto, l'enorme degrado e abbandono delle vie vicine. La manutenzione e la pulizia sono ormai un ricordo lontano e ancora non siamo a livello di terzo mondo grazie alla buona volontà di qualche residente. Uno di questi mi diceva che la via Santa Chiara non è per nulla secondaria, come potrebbe sembrare, visto che viene usata molto spesso dalle "carovane" di turisti che la percorrono per tagliare per la via Roma e quindi raggiungere gli autobus lasciati al piano Sant'Ippolito o davanti l'Hotel Villa Romana. E come se non bastasse, continua il residente, è veramente vergognoso vederli fotografare le "bellezze" in mostra, vero vanto di un sito UNESCO da portare via come ricordo ! Io, dal canto mio, oltre a queste due foto, ne ho fatte altre, veramente disgustato e amareggiato, dagli sportelli aperti delle finestre della mia classe dell'ex Istituto Magistrale, rimasto scandalosamente "BOMBARDATO" durante l'ultimo sbarco di gente incompetente, superficiale, incivile, spudorata e chi più ne ha più ne metta ! Basta guardare le condizioni del portone sulla via Umberto per capire come noi Piazzesi "tuteliamo" i notri gioielli ! Altro che sito UNESCO, sito BISTRATTATO ! Gaetano Masuzzo.cronarmerina.blogspot.it  

 

* Questo post verrà inviato all'Ufficio della Postulazione Curia Diocesana come segnalazione di documento relativo al Servo di Dio Mons. Mario Sturzo.  

mercoledì 24 luglio 2013

Secondo voi...

Secondo voi cosa avrà pensato questo bagnante stamattina in spiaggia ?

Risposte:

a) Meglio stare alla larga !

b) Finalmente nessuno che rompe !

c) Il silenzio è d'oro !

d) Mégghiu sulu ch' malu cumpagnàtu !

e) Mànch vèru m' par !

 

Si accettano altri pensieri e impressioni.

(www.cronarmerina.blogdpot.it)

La conchiglia di San Giacomo / Parte 2^

La conchiglia della capasanta o vieira in spagnolo
Sull'arco di una finestra del Duomo di Piazza Armerina
Sul campanile del Duomo di Piazza Armerina
Sul portone della chiesa Anime Sante del Purgatorio di Piazza Armerina
Parte 2^

Il legame tra la conchiglia e San Giacomo (il Maggiore) va ricercato sia nel racconto di un miracolo che evrebbe visto salvarsi un cavaliere caduto in mare che, invece di annegare, sarebbe riapparso nei pressi della barca sulla quale venivano trasportate le ossa del Santo, tutto ricoperto di conchiglie come se fosse rimasto sott'acqua per chissà quanto tempo, sia nella facile reperibilità della conchiglia in questione, chiamata volgarmente "capasanta", molto comune su quelle coste della Galizia, e dal mollusco contenuto molto buono e adatto ai frugali pasti dei pellegrini che presero l'abitudine di tenere la conchiglia in ricordo di quella lieta sosta in un cammino faticoso. Inoltre, la conchiglia presenta varie associazioni allusive a causa della forma suggestiva e della consistenza del mollusco che sono spesso indicati come simbolo dell'organo genitale femminile. Come tale, sin dai tempi più lontani diviene metafora della nascita e della vita e, nella tradizione cristiana, viene considerata nell'immagine del guscio come simbolo della tomba che racchiude e per questo la ritroviamo spesso sui portali e altari di chiese (vedi foto sopra scattate a Piazza). Come se non bastasse, la struttura dei raggi di questa conchiglia riporta inevitabilmente ai raggi della stella che indicò all'eremita il campo di sepoltura del Santo, un luogo posto al confine estremo del mondo, ultima terra prima dell'immenso oceano. Mentre Roma è il cuore pulsante della fede con la dimora del rappresentante di Dio in terra e Gerusalemme è la sede del Santo Sepolcro dove Cristo ha abbandonato le sue spoglie mortali, Santiago di Compostela è vista come un faro contro le tenebre degli abissi oltre la terra a ovest e una luce contro la minaccia della marea musulmana che preme da sud. Per questo ogni anno nella città galiziana si recono quasi 200.000 pellegrini, la maggior parte a piedi, per rinnovare il cammino verso la fede e la conoscenza interiore di ognuno che lo stesso Cammino "obbliga" a scoprire nel silenzio e nella solitudine di centinaia di chilometri. (Tratto da G. Staffa, 101 Storie sul Medioevo, N.C.Ed., Roma, 2012)
cronarmerina.it

martedì 23 luglio 2013

Allöra vìzi è !

 

Allöra vizi è !

Ormai dove ci si gira gira c'è na pala d f'cudìnnia estemporanea !

Questa in via Sotto Santa Chiara, su un balcone di una casa disabitata. Accontentandosi dell'acqua piovana riesce a crescere rigogliosa, méggh d n'campàgna mi !

La conchiglia di San Giacomo / Parte 1^

Il bordone, bastone del pellegrino con la zucca a fiaschetta
Parte 1^
Sfogliando i resoconti delle vite degli uomini del Medioevo, presto o tardi ci si imbatte in una figura che, al pari del cavaliere, ha una forte componente evocativa: il pellegrino. Il pellegrinaggio è una pratica alla quale si dedicano tutti, dai sovrani ai più poveri, isolati o in gruppi si spostano seguendo gli itinerari che conducono a Roma, a Gerusalemme o a Santiago de Compostela, attratti dal potere delle sacre reliquie e dalle loro qualità salvifiche. Si rafforza attraverso il pellegrinaggio l'idea dell'uomo in permanente avanzata verso la morte, metafora del cammino della vita. Questo incedere si concretizza nella polvere dei sandali, nel cappello a larghe tese (pètaso), nella borsa a tracolla, nel bastone con la zucca a fiaschetta (bordone), nel mantello e, cosa più emblematica, nella CONCHIGLIA. Questa è correlata al culto di San Giacomo e dunque al paese di Santiago, al quale venne aggiunta la parola Compostela perché intorno all'800 d.C. un eremita, avendo visto ogni notte una stella illuminare un campo, si mosse, dopo aver sognato San Giacomo, verso quella direzione, sino a giungere nel luogo di sepoltura del Santo presso il "campo della stella" (Compostela). Naturalmente questa è una leggenda, ma di fatto Santiago diventa nel giro di pochi anni una meta assai visitata da torme di fedeli, pur di riuscire ad appendere sul cappello la conchiglia, a testimonianza dell'impresa. (Tratto da G. Staffa, 101 Storie sul Medioevo, N.C.Ed., Roma, 2012) (continua)
cronarmerina.it


lunedì 22 luglio 2013

Come un vecchio guerriero

 

Il passato e i ricordi


Il passato è passato,
la croce delizia del tempo che fu.
Vuoi tenerlo presente
ma fugge all'indietro
per non tornare più.

I ricordi sbiaditi ma vivi
di un uomo e la sua gioventù,
di felici momenti vissuti
di amori e virtù.

Dagli archivi la storia presenta 
la gloria di grandi conquiste,
di uomini saggi,
di eroi e di guerre riviste.

Il passato e la nostra memoria
è un guerriero ormai stanco,
che ti legge il suo libro
e ricorda lo studente seduto sul banco.

Roberto Lavuri


Antichi falegnami di Piazza / parte 2^

Il poeta-falegname Carmelo Scibona (1865-1939)
Continua (dalla parte 1^) l'elenco dei falegnami che lavoravano nella nostra Città tra gli anni '30 e '40. Eccovene altri in ordine alfabetico: Giurbino Mario Giurbino, Guarnera, La Vaccara, Manteo, Marino Bobò, Marino Gaetano Albanese, Marino Gino, Marino 'Ngiulìddu, Marino Nitto, Masuzzo Gino, Masuzzo Sasà, Mellia, Parasole Totò, Paternicò Lillìddu, Paternicò P'ppìnu, Polizzi, Paolo (Tigna?), Rinaldo, Rinaldo figlio del primo, Rinaldo forse parente dei primi, Roccazzella Giuseppe, Sardeo, Scarcella Filippo, Scibona Carmelo (nella foto), Scibona parente del primo, Speciale Michele, Speciale Alfredo figlio di Michele, Speciale Concetto figlio di Michele, Speciale Giovanni figlio di Michele, Suffanti Peppino, Termine. Chissà quanti attrezzi, mobili, porte, finestre, tavoli e sedie costruiti da tutti questi abili artigiani abbiamo nelle nostre case e non lo sappiamo!

Sullo stesso tema leggere Moderni falegnami di Piazza

Gaetano Masuzzo/cronarmerina.blogspot.it

domenica 21 luglio 2013

Famiglia Passaneto

Di rosso a tre bande d'oro e una fascia dello stesso soprastante su tutto.
Famiglia normanna portata in Sicilia da Ruggero signore di Passanete che acquista alcuni feudi e casali in Calabria e in Sicilia. Nel 1296 nel ruolo dei feudatari a Platie troviamo i Passaneto provenienti da Lentini e all'inizio del '300 questa famiglia è tra le più importanti del territorio. In questo periodo Riccardo Passaneto, figlio di Ruggero e nipote di Goffredo, signore di Mazzarino, è conte di Garsiliato e dei casali di Palagonia, di Passaneto e della fortezza di Tava (nei pressi dell'odierna Leonforte). Sempre Riccardo, conte di Garsiliato, diventa castellano di Lentini e aderisce alla fazione Catalana. Gli succedono il figlio Ruggero e nel 1389 il nipote Ruggerotto. Questi, conte di Garsiliato, nel 1392 si ribella a re Martino e il duca Martino il Vecchio gli confisca tutti i beni. Questo atto fa scomparire i Passaneto dalla storia della nostra Città. Gaetano Masuzzo/cronarmerina.blogspot.it

Morti inutilmente ?


Giorgio Boris Giuliano, 21 luglio 1979

Emanuela Setti Carraro e il gen.le C. A. Dalla Chiesa 3/9/1982

Giovanni Falcone, 23 maggio 1992


La moglie di G. Falcone, Francesca Morvillo, e la scorta: Vito Schifani, Rocco Di Cillo, Antonio Montinaro , 23/5/ 1992

Aldilà di tutti i discorsi, almeno due cose possiamo fare per loro, e per noi: 

ricordarli ogni anno e dare esempio di onestà alle giovani generazioni.

La prima molto facile, la seconda molto più difficile, ma almeno proviamoci !

sabato 20 luglio 2013

Soffio di poesia


Al soffio del vento


Si scuotono gli alberi
al soffio del vento,
in alto vedi volteggiare 
un foglio di carta,
mulinelli di polvere e sabbia
si dibattono nell'aria.

Tutto sembra prasportato dal vento
padrone di questo giorno,
coinvolgendo anche l'animo della gente.

Lo porta lontano verso dimore
mai prima ricordate:
amori, gioie e dolori, amici.

Tutto era così lontano,
eppure...
sulle ali di questo vento
è così facile arrivarci,
è così facile ravvedersi dagli errori,
è come leggere su un libro scritto prima.

Ora un raggio caldo di sole
accarezza la guancia,
libera dal vento
e quel foglio dolcemente 
ricade per terra.
E' bianco, è un foglio del libro, 
un'altra pagina da scrivere.

Marzo 1986                                 Sergio Piazza

Antichi falegnami di Piazza/parte 1^

Falegnameria Masuzzo in via Roma, 1955

 

 I primi nell'elenco degli antichi falegnami di Piazza


A Piazza sino agli anni '40 non c'era strada o cortile che non avesse a so buttiga d mastru d'ascia. Quest'ultimo è un altro termine per indicare il falegname, perché prima l'attrezzo più usato era l'ascia, che serviva a costruire le parti in legno degli aratri e quello più utilizzato era di rovere o di olmo. Consultando il mio archivio vivente ho potuto recuperare i nomi di tanti falegnami presenti nella nostra Città dagli anni '30 in poi, considerando antichi quelli sino a mio padre Gino Masuzzo, classe 1921, e moderni quelli successivi. La mancata menzione di qualche nominativo è del tutto involontaria e pertanto me ne scuso anticipatamente. Se qualcuno vorrà segnalarmene la mancanza gliene sarò grato. Intanto eccovi i primi di quelli antichi in ordine alfabetico: Albanese Angelo, Anzaldi Gino, Arancio Turiddu, Avanzato Salvatore, Baudo Pepè, Cagno Calogero in via Sette Cantoni¹, Calcagno Totò, Cannizzo Stefano, Commendatore, Caponetti Turiddu, Catalano Antonino, Catalano Calogero, Catalano padre di Antonino e Calogero, Conti Calogero, Conti Lilliddu, Cosentino Salvatore, Cuzzolaro, Di Natale Ciccio, Di Natale cugino di Ciccio, Disma, Di Stefano, Falciglia, i 2 falegnami dei baroni Camerata, Fiumicello Ciccio, Fiumicello Valentino, Flammà Bobò, Gagliano Aldo, Garigliano Ciccino, Garigliano fratello di Ciccino, Garigliano parente dei primi due, Guadagna. (continua)

¹ Segnalatomi dal figlio Italo nel settembre 2018.

Gaetano Masuzzo/cronarmerina.blogspot.it    

venerdì 19 luglio 2013

Mostra fotografica imperdibile

Oggi ho visitato la mostra fotografica "Sicilia vintage 1960" di Melo Minnella (Mussomeli, 1937) al Museo Diocesano. Già qualche foto delle 24 in mostra la conoscevo, avendola incontrata navigando su internet, ma tante altre no. Guardandole ci si ritrova in mezzo alle nostre vie di mezzo secolo fa. Ho voluto mettere la foto col ragazzo nello scatolo di cartone perché mi ci rivedo precisamente io nei primi anni '60. Bastava uno scatolo trovato per caso per farne un'armatura, una casetta, un'automobile, e girare per le strade sino a quando qualche coetaneo, invidioso del costume, non lo sfasciava. "Penso che un fotografo, scrive Sellerio, che sia realmente tale non può che essere uno scrittore che si esprime per immagini. Da quasi mezzo secolo Melo Minnella racconta la sua Sicilia. Lo fa con la forza dell'innamorato. Con occhio sapiente e colto indaga, attraverso il linguaggio privilegiato della fotografia, gli apetti più veri della realtà dell'Isola... La mostra a Piazza Armerina, raccoglie solo un breve periodo della vasta produzione fotografica di Minnella... Molte fotografie sono indimenticabili, fanno parte ormai dell'immaginario collettivo." * La mostra si può visitare tutti i giorni sino al 3 agosto p.v. dalle 10 alle 19:30 presso il Museo Diocesano e volendo si può prendere un drink nel Caffè Letterario al piano terra. Gaetano Masuzzo/cronarmerina

*Tratto dalla presentazione Racconti per immagini del curatore Nicolò D'Alessandro.    

Pezzo di storia da recuperare

Lina Roccazzella, ultima erede diretta, davanti la casa nel 1956

La mietitura con la casa sullo sfondo
Mentre l'altro giorno si festeggiava l'anniversario dello sbarco alleato, e si è in attesa dell'arrivo di un gruppo di Canadesi che faranno tappa venerdì 26 prossimo per ricordare i 526 connazionali morti in quella operazione, mi è arrivata questa segnalazione che con molto piacere vi propongo. Attraverso una e-mail il signor Ernesto Siciliano, a nome degli eredi Roccazzella-Iaci, mi chiedeva se attraverso il mio blog avessi potuto contribuire al recupero di una memoria di non poco conto. Si tratta di una casa di campagna nella nostra contrada Scarante, proprio dietro l'ex mercato ortofrutticolo, su due piani di fine Ottocento, appartenente al fratello di suo nonno ovvero ad Agatino Roccazzella. Sino a qui nulla di particolare, senonché l'edificio venne utilizzato, proprio in quei mesi successivi allo sbarco, dagli Americani come sede del loro Quartier Generale. E come se non bastasse, a riprova che anche nelle guerre più tecnologiche il fattore "umano" è importantissimo, gli Alleati vi installarono nel sottotetto della casa una piccionaia per allevare i piccioni viaggiatori che usavano per la trasmissione dei messaggi di guerra. Come luogo della memoria di quei terribili momenti di settant'anni fa non c'è male, anche perché l'edificio oggi un po' trascurato, non è vastisssimo come si vede nelle foto, ma potrebbe ospitare, solo se si volesse, un piccolo museo della II Guerra Mondiale che come un tornado passò anche dalle nostre parti. Questa memoria storica che rischia di scomparire se dovesse essere oggetto di ulteriore speculazione edilizia, potrebbe essere acquisita dal Comune come bene storico della comunità piazzese. Pertanto da questo blog, attraverso il quale metto in risalto i gioielli della nostra Città, mi sento di sollecitare l'amministrazione Comunale affinché compia i passi necessari per recuperane un altro, visto che siamo ancora in tempo. Gaetano Masuzzo/cronarmerina.blogspot.it  

Scendelavacca


Questo sì che era un gioco pericoloso. Lo chiamavamo SCENDELAVACCA e prendevano parte più giocatori. Chi iniziava doveva appoggiarsi a un palo o a un altro ragazzo che non partecipava, per non sbattere contro al muro. Gli altri della stessa squadra si disponevano dietro in fila piegati per formare la schiena della VACCA. I componenti della squadra avversaria saltavano a turno per salire sulla schiena. Quando erano saliti tutti bisognava resistere e, se si voleva esagerare, battendo le mani, quindi solo con la forza delle gambe, stile rodeo, per un determinato tempo. Se qualcuno tra quelli di sopra cadeva i ruoli s'invertivano, se invece erano quelli di sotto a non resistere rompendo la fila (la vacca scendeva o cadeva), ritornavano a formare la schiena. I giocatori mentre saltavano sulla schiena erano soliti gridare SCENDELAVACCA CHE CHIANA LU TORU ! Sino a quando si perdeva l'equilibrio candendo in piedi, tutto filava liscio, ma quando si cadeva malamente ci poteva andare di mezzo anche qualche testa, dura, e io ne so qualcosa perchè è proprio in una fase di questo gioco che ho visto "le stelle"! Chi vinceva? Chi tornava a casa tutto d'un pezzo!  

Gaetano Masuzzo/cronarmerina.blogspot.it  

giovedì 18 luglio 2013

Vecchio scarpone

Questo vecchio scarpone è stato fotografato il giorno dopo la celebrazione dello sbarco americano in Sicilia, proprio sulla spiaggia di Gela. Sarà di qualche soldato alleato o di qualche alpinista venuto di recente a scalare le irte montagne gelesi ? Gaetano Masuzzo/cronarmerina

Il poeta sul blog


Qualcuno mi ha chiesto chi fosse il poeta che ogni tanto mi invia le sue poesie che io vi propongo. Eccovelo nella foto, è Roberto Lavuri, nato a Milano nel maggio del 1966 che dopo 15 anni ritorna a Piazza, dove vive e si diletta a scrivere versi e considerazioni su vari argomenti. State attenti che nelle prossime settimane vi proporrò altri componimenti. A questo punto invito i tanti poeti sconosciuti a farsi vivi mandandomi le loro "fatiche", che saranno pubblicate con immenso piacere e... sempre a vostro rischio e pericolo ! Gaetano Masuzzo/cronarmerina.blogspot.it

mercoledì 17 luglio 2013

A t'rzalöra


Ieri Enrico B. ha indovinato il nome. La rivoltella o pistola a tamburo o, in inglese, revolver, alla ciaccësa era chiamata T'RZALÖRA. Ma questo termine trizzalora poteva indicare anche altre cose in altri posti della Sicilia: a) la campana che si metteva al collo delle pecore; b) l'alzavola, la più piccola delle anatre detta anche pappardedda; c) il piccolo mattone di tufo; d) l'arma e il fucile. Lo spunto per parlarne me l'ha dato mio padre, che l'altra sera mi raccontava di un signore che possedeva na t'rzalöra ancora più particolare, perché a due canne parallele ma non sovapposte, giustapposte (in orizzontale)! Gaetano Masuzzo.cronarmerina.blogspot.it

Fontana c/da Azzolina / n. 5


Continua la scoperta delle fontane e relative B'V'RAÖRI. Dopo l'eremo di Liano, a ca. 1 Km. verso Aidone (sulla SP 38), c'è questa enorme vasca ottagonale alimentata dal canale della foto in alto. La contrada si chiama Azzolina. Gaetano Masuzzo/cronarmerina.blogspot.it 

martedì 16 luglio 2013

Nelle radici

 

La vita è nelle radici


Dalle sue radici
la pianta va su
sempre più bella e rigogliosa.

Si alternano le stagioni 
ma lei, anche se spogliata 
dal rigido inverno, 
è sempre più bella e viva,
forte e resistente alle intemperie
ed a qualsiasi insetto che l'attacca.

E' nelle sue radici e nella sua terra è la vita.

Ma trapiantata in altra terra,
priva delle sue radici e del suo ambiente,
va consumando la riserva della sua linfa.

Quelle foglie, un tempo verdi
e luccicanti al sole,
ora ingialliscono, i rami seccano.

Poteva dare buoni frutti 
ma chi per lei ha deciso della sua vita,
violando ogni naturale ciclo della sua sopravvivenza.

Non è più nelle sue radici, nella sua terra,
non è più la sua vita.


Settembre 1987                             Sergio Piazza 

La rivoltella

 

Lo sapete con quale nome curioso veniva chiamato la rivoltella o revolver nella nostra lingua gallo-italica?

E' stato indovinato il nome. Domani mercoledì la soluzione completa. 

lunedì 15 luglio 2013

A Piazza Armerina

 

Dedicata alla mia bella città


A Piazza stasera
il cielo di stelle è già pieno,
orsù Madre Santa, esercito schierato
a battaglia che trionfa sul male
si erge la tua Cattedrale.

Superba mole, innalzata per te
in questo colle Armerino,
distesa ai tuoi fianchi.
o dolce Maria che ci guardi
con occhi stanchi.

Antichi palazzi, bellissime chiese
che d'arte son ricche.
E tutti s'inchinano
a te Gran Signora.

La piazza che sotto il cuore
declina splendore ti porge.
Dirama i suoi occhi stretti 
e le strade allontana.

Ma forgia bellezza ogni passo,
se già da lontano ti guardo
stupendo paesaggio.

O mia Piazza Armerina
da tutti i quartieri stupenda,
dal Monte ai Canali,
dal Casalotto alla Castellina.

Roberto Lavuri

U Campanaru


Questo era (non so se viene ancora praticato) un gioco esclusivamente femminile. Infatti, non mi ricordo di aver visto maschietti giocare in questo modo, come altrettando raro era vederli alle prese del salto della corda o ai quattro cantoni. U campanaru era uno dei giochi più antichi praticati all'aperto. Una volta disegnata col gesso (recuperato da qualche vecchio muro, ma quello preso in "prestito" da scuola era migliore) la campana veniva divisa in caselle numerate. Si lanciava un sasso piatto nella prima casella e lo si raggiungeva saltellando su un piede solo, senza pestare le linee e senza perdere l'equlibrio. Se si verificava una di queste infrazioni si doveva iniziare da capo o addirittura esclusi, se i concorrenti erano molti. Una volta raggiunti il sasso lo si doveva spingere col piede a terra nella casella successiva sempre senza calpestare le linee. Nelle caselle trasversali si doveva entrare contemporaneamente a gambe divaricate. Una volta recuperato il sasso si tornava indietro, sempre saltellando come all'andata, per lanciarlo nella casella successiva, sino all'ultima in cima al campanaru (campanile). Arrivati in quest'ultima si decideva se continuare aggiungendo delle difficoltà, come percorrere il tragitto col sasso in testa o a occhi chiusi. Ovviamente vinceva chi completava per prima il percorso netto. Mi ricordo che certe volte io e i miei compagni ci ritrovavamo seduti sul marciapiede che guadavamo lo svolgimento di questo gioco un po' storditi, anche perché stremati dai nostri giochi un po' più "vivaci". Durante questa pausa, con tutti gli sforzi che facevamo, non capivamo come ci si potesse divertire con un gioco che non comprendesse grida, spintoni, scivolate, capriole, ginocchia sbucciate, calci, lanci, pugni, sputi e parolacce e, per di più, saltando con un piede dentro un campo ben delimitato. No, decisamente non era per noi ! Gaetano Masuzzo/cronarmerina.blogspot.it    

domenica 14 luglio 2013

Per non dimenticare il 1943

 

Ci sembra giusto rendere nota la presentazione di questo volume, che dovrebbe aiutarci a capire meglio quello che accadde tra le truppe italiane 70 anni fa, quando dovettero difendere, insieme ai tedeschi, la Sicilia dall'invasione delle truppe anglo-americane. 

Oggi u F'stìngh pa Santa





 Oggi a Palermo si festeggia il 389° Festino per Santa Rosalia, in ricordo del ritrovamento del corpo della Santa che, portato in giro per le trade, salvò la città e tutta l'Isola dall'epidemia di peste. Ma non ci può essere FISTINU senza retroscena gastronomico. A fare da cornice ai momenti religiosi e alla grande festa ci sono le immancabili bancarelle appartenenti agli acquaioli e ai siminzari. Questi vendono lupini, calia, miricanella, cruzziteddi (castagne secche) noci e simenza, ovvero tutto quello che va sotto il nome U'SCACCIU. Ma soprattutto non ci può essere Fistinu senza i babbaluci. Il famoso detto palermitano sostiene che: "Babbaluci a sucari e fimmini a vasari nun ponnu mai saziari". Gaetano Masuzzo/cronarmerina.blogspot.it

Famiglia Palermo

Partito: nel primo un grifo rampante d'azzurro sormontato da un lambello di rosso con tre gocce in campo d'oro; nel secondo d'azzurro al leone leopardato d'oro sostenente sul dorso un giglio d'argento.
Famiglia piazzese della quale il primo nominativo è quello di Pietro de Palermo che nel 1482 è tra i quattro rappresentanti borghesi inviati a Palermo dal Viceré. 1637 Leonardo di Palermo è consulente (consigliere comunale). 1643 Diego Palermo-Crescimanno è Cavaliere Ospedaliere di Malta e poi diventa baglivo di Venosa (prov. Potenza). 1681 Andrea Palermo è capitano di giustizia. 1704 ca. don Giacinto Palermo è decano della Collegiata del Duomo e nel 1714 a lui e al sacerdote Geronimo Palermo vengono confiscati i beni per aver rispettato l'interdetto fuggendo da Platia. 1711 Vincenzo Palermo è giudice nella nostra Città. La contrada Palermi nel nostro territorio prende nome da questa famiglia. Gaetano Masuzzo/cronarmerina.blogspot.it