Sepolcro barone Marco Trigona, XVII sec., Cattedrale, Piazza Armerina
Sepulcher baron Marco Trigona, 17th century, Cathedral, Piazza Armerina

lunedì 8 luglio 2013

Cripta al Carmine

La cripta che si scorge all'ingresso, sotto il vetro
Appena si entra nella chiesa del Carmine si scorgono dal vetro sul pavimento i resti della cripta. Le cripte nell'architettura medievale sono camere ricavate sotto i pavimenti delle chiese, destinate al trattamento dei cadaveri, rispondenti ai rituali caratterizzati dalla concezione della morte come passaggio prolungato. Ovvero, dopo la morte si adottano vari sistemi affinché le parti molle del corpo vengano trasformate in qualcosa di immutabile e duraturo come le ossa o la mummia, per consegnarlo all'eternità del sepolcro definitivo regolandone nei migliori dei modi la putrefazione. Il sistema adottato nella cripta del Carmine è quello chiamato dei colatoi a seduta, noti a Napoli come cantarelle e diffusi in tutto il meridione d'Italia, mentre l'altro tipo, colatoio orizzontale, è diffuso prevalentemente in Sicilia. La cripta mostra lungo le pareti una serie di nicchie provviste di sedili in muratura ciascuno dotato di un foro centrale. Il cadavere del defunto, di solito un frate del convento o un nobile frequentante e in stretta relazione con l'edificio religioso, era collocato in posizione seduta in modo da far confluire i liquami, prodotti dalla putrefazione, direttamente all'interno del foro collegato ad una canaletta di scolo, circondata da sabbia per eventuali fuoriuscite. Nello stesso ambiente erano presenti (qui completamente sparite) l'ossario e alcune mensole in muratura. Una volta terminato il processo di scolatura, lasciando così le ossa libere dalla parte putrescibile, il cranio, simbolo dell'individualità del defunto, era posizionato sulla mensola, le altre ossa venivano spostati nell'ossario. In questo modo il ciclo funerario, iniziato con la morte dell'individuo, si concludeva con la sua scheletrizzazione, ed aveva una durata che poteva variare sensibilmente da un minimo di pochi mesi a un anno e più, in conseguenza delle condizioni climatiche dell'ambiente sepolcrale e della stagione della morte. Fin quasi allo scadere dell'Ottocento, contemporaneamente agli sforzi dell'autorità di governo di istituire camposanti in periferia, le élite considerarono l'esposizione del corpo mummificato come una forma per conservare l'individualità fisica del defunto e manifestare oltre la morte il suo status sociale. Prima della nascita dei camposanti monumentali, luoghi di memoria e di consolazione che avrebbero consentito la visita alla tomba individuale, il corpo mummificato costituì il monumento funebre da offrire alla vista e alle preghiere dei viventi. Gaetano Masuzzo/cronarmerina

Nessun commento:

Posta un commento