Sepolcro barone Marco Trigona, XVII sec., Cattedrale, Piazza Armerina
Sepulcher baron Marco Trigona, 17th century, Cathedral, Piazza Armerina

sabato 28 novembre 2015

Fabbri antichi e moderni a Piazza

Eccovi di seguito i nominativi della maggior parte dei fabbri ferrai, maniscalchi e carrettieri che ci sono e ci sono stati nella nostra Città, sin dagli anni 30. 
I nominativi sono elencati in ordine alfabetico e se qualcuno ne ricorda altri e il sito dove aveva a buttìga, può segnalarlo nei commenti, io mi premurerò ad aggiungerli.

Fabbri
Anzaldi in via Roma, Arena Francesco e fratello in c/da Santa Croce, Avvenia Cateno in c/da Dommartino, Castagna Peppino via Sant'Anna, Castrogiovanni in via Mazzini*, Conti Gaetano via Vitt. Emanuele 53, D'Agata Giacomo a San Giuseppe poi in via Impastato, i fratelli Rosario, Salvatore, Sergio e Valentino*, Ficarra Salvatore col figlio Alessandro in via Vitt. Emanuele 53 poi in c/da Uccelli, Giunta, Lanza in via Garibaldi, Lo Fermo in piazza Teatini, Masuzzo Guido nel piano Arcurio, Marino Filippo in via Vitt. Emanuele poi nel piano Teatini, Portogallo Giuseppe in via Umberto 55, Selvaggio in viale della Libertà*, Treno Filippo e il figlio Gino nel largo Sant'Onofrio. 

Maniscalchi
Marino Liborio al Casalotto, Mirabella via Castellina, Napoli Marco*, uno al Monte in via Madonna Stella oggi via A. Crescimanno, uno ai Canali, uno ad Altacura, uno al piano Terremoto.

Carrettieri
Drago, Campagna*, Di Michele Pietro*(originario di Vittoria-Rg, poi trasferitosi a Gela), Scribano Vincenzo e suo fratello a Costantino oggi viale della Libertà.

*Aggiunti all'elenco successivamente e dietro segnalazione.

Gaetano Masuzzo/cronarmerina

martedì 24 novembre 2015

Edicola n. 34


Questo dipinto, disegno, pittura, affresco o graffito nella foto è l'Edicola Votiva n. 34 del mio censimento. 
Si trova dentro un palazzo nei pressi 
della Torre del Patrisanto
Come potete ben vedere non è in buone condizioni, anzi, si distingue a malapena il crocifisso a cui era dedicata dentro una cornice marrone grande 60 x 50 cm. ca., anch'essa sbiadita e graffiata.
E' quello che accade quando all'ignoranza si accompagna la superstizione, la superficialità, l'indifferenza, l'abbandono, l'iconoclastia e chi più ne ha più ne metta. 
Chissà perché e quando e chi aveva ordinato l'opera 
e chi l'aveva eseguita.

Non lo sapremo mai. 

Come si suol dire "chissa cu l'autri". 

Gaetano Masuzzo/cronarmerina   

mercoledì 18 novembre 2015

L'autore di "O Piazza Antica"

Francesco Lavore
Francesco Lavore nasce nell'anno 1973 a Piazza Armerina e compiuti gli studi tecnico-professionali emigra verso il Nord dell'Italia in cerca di buona ventura, riuscendo infine dignitosamente a ottenere un impiego aziendale.
Da sempre tende a prevalere in lui una spiccata ma distante, poiché lontana dallo specifico excursus formativo intrapreso, attrazione verso la scrittura e la poesia in genere; questa lo spinge a cimentarsi da diversi anni (tergiversati da periodi di stallo creativo) nel comporre versi, soprattutto in lingua italiana, dall'accento prosaico e che abbracciano disparati argomenti concreti e astratti della vita, ma che gli forniscono lo strumento per una vitale e sferzante espressività sensoriale interiore, esigenza che egli ha il profondo bisogno di poter da sempre comunicare. 
 (Nota autobiografica dell'autore nell'opera prima 33 poesie per un'illusione, Ed. Temperino Rosso, Brescia, 2015, Collana Tracce di sabbia)


In quarta di copertina

"Qui attanagliato da quattro mura 
continuo rifletter l'apparente calma 
inquieta e dimessa mia coscienza
mentre chiuso il cuore giace
infelice e deluso del mio presente
pur confusa riscatto cerca invano"


Gaetano Masuzzo/cronarmerina 

martedì 17 novembre 2015

Quante ipocrisie

Dopo qualche giorno di silenzio per rispetto e amarezza, 
desidero postare questo piccolo e semplice contributo,
affinché le centinaia di vittime innocenti a Parigi e/o altrove servano a fermare il terrorismo e anche l'ipocrisia occidentale

Ma il mio solito pessimismo mi fa pensare che tra qualche giorno i morti rimarranno soltanto in un elenco e nel dolore dei loro cari. 

Come diciamo noi a Piazza: 

Màra cu ggh 'ngagghia

Gaetano Masuzzo/cronarmerina


 

venerdì 13 novembre 2015

O Piazza Antica / 2

Chiesa di S. Martino, ingresso laterale, XII sec.
O Piazza Antica
II Parte

Culla ecclesiale dalle cento chiese
variegato e ventoso clima montano
patrimonio culturale dell'umanità contese
or inesorabile declino insorger nel falso e profano

Lesinato identità e discendenza
nel cosciente tramandato eco
fui pur fiero persister nella sostanza
al cospetto di celtiche genti

Oggi rimembrar vissuto trascorso 
getto dipinto avvalorar memoria 
fugger lontani reconditi pensieri
riverberar silente l'inequivoco desìo

Aver voluto ancor più assaporar l'essenza
per quanto vissuto nel tuo nobile borgo
aver voluto a iosa mostrar fiera appartenenza
per quanto apprezzato nel viver quotidiano

O Piazza antica riprendi lode del tuo vanto
senza arrogar discrimine o pretesto
nell'incupir dimesso tormento
invocar fatture e bellezze con amaro rimpianto

A te rifulger ogni remora di passata gioventù
a te porger tesoro di cultura che m'appartiene
a te mirar morale valore umano ormai disperso
a te l'augurale insorger nella folgore d'un tempo

Francesco Lavore
(33 poesie per un'illusione, Ed. Temperino Rosso, Brescia, 2015) 

Gaetano Masuzzo/cronarmerina  

giovedì 12 novembre 2015

O Piazza Antica / 1

Ingresso al Castello Aragonese, XV sec.
O Piazza Antica
I parte

M'inchino e mi prostro
m'imbarazzo e mi pento
o mia bella Piazza
dalle antiche e sgualcite mura

Peculiari arcate su nobiliari dimore di feudale gloria
pervasa da normanne sembianze di nordica essenza
arabi lasciti e ville romane
testimoniar mistica e remota presenza

Lustre di merito e storia
regno di trionfali monumenti
pietra miliare d'ardue e trapassate umane gesta
Comarca d'antichi e benemeriti privilegi

Madre di gesta al valore 
culla di caparbi generali
fosti terra di contesa
tra l'armi e militari 

Acre rimpianto nell'ingrato disconoscer leggendaria ventura
depauperar autentici veti di civiltà vissuta
all'ostile mercede fascista del tiranno piegasti oscura
or che volger al colluso unir di popoli ignuda

Citar laconici tuoi poeti
figli del tuo gallico gergo
onorar remote origini 
con esemplar voga e talento
(continua)
 
Francesco Lavore
(33 poesie per un'illusione, Ed. Temperino Rosso, Brescia, 2015)

Gaetano Masuzzo/cronarmerina 

mercoledì 11 novembre 2015

Commento della presentazione

Scarcione, Leone e Paci
Partecipe e coinvolto il numeroso pubblico, intervenuto all'interessante volume fotografico di Giuseppe Leone, "Storia di un'amicizia". Notevole e, davvero, "inedita" la presenza in sala di un gruppo di studenti del Liceo Linguistico della Città. Gli onori di casa, a nome del Vescovo, li ha fatti Padre Giuseppe Paci, Direttore del Museo. Quindi, la Prof.ssa Marianna La Malfa, Presidente dell'Uciim, ha sottolineato l'interesse di professori e alunni delle varie Scuole ed Istituti per la Mostra e il volume "Storia di un'amicizia". L'editore, Dott. Giuseppe Prodi, nel suo appassionato intervento ha rievocato la stima e l'ammirazione intercorsa tra lui e Sellerio, da cui trasse stimolo nella personale "avventura" editoriale. Concetto Prestifilippo, con scoppiettante stile "provocatorio", ha moderato i lavori e tracciato una puntuale sintesi delle relazioni, stimolando i presenti, che sono intervenuti con domande e osservazioni pertinenti. 
Giuseppe Leone, più volte applaudito, si è letteralmente commosso, quando ha rievocato l'incontro con l'allora giovane intellettuale piazzese, Ignazio Nigrelli, presente Concetto Prestifilippo e lo scrivente, nella Chiesa di san Giovanni, dove Leone, già affermato fotografo, venne, per fissare, con la sua grande sensibilità professionale, le immagini degli affreschi del famoso pittore fiammingo e aiuti, Guglielmo Borremans. Il pubblico lo ha incoraggiato a continuare l'esposizione, tributandogli un'ovazione.
Facevano corona all'autore eminenti personalità della nostra Città. Tra le altre: Ugo Adamo, Vittorio Malfa, Sebi Arena, Carmelo Nigrelli, Agata Caruso, Mirella Calcagno. Nella "conversazione" con l'autore sono emersi i momenti salienti dei suoi incontri con Bufalino, Consolo e Sciascia, che, pur nella loro diversità, a buon diritto, si collocano tra gli autori più significativi della storia della letteratura e illustrano, insieme ad Andrea Camilleri, la Sicilia. A mio parere, appaiono ben calibrati, i giudizi rispettivamente di Silvano Nigro: "Leone è un narratore della Sicilia, dei suoi monumenti, delle sue feste, dei costumi e della vita tutta, per immagini fotografiche. Un narratore che si è accompagnato a Sciascia, a Bufalino e a Consolo e ha rivelato, alla letteratura, la Sicilia più vera, quella degli uomini come quella della pietà vissuta e dei paesaggi". E l'altrettanto autorevole rilievo di Gesualdo Bufalino: "Leone è uno che alla Sicilia si accosta come a un corpo di una donna... ora sfiorandola appena, ora facendole teneramente violenza, ora guardandola con finta pigrizia, come dal balcone d'una stella remota".
I suoi lavori vertono su: paesaggio, architettura, feste popolari, antropologia, moda, lavorando per riviste nazionali e internazionali, sia a colori, sia in bianco e nero. "Il Matrimonio in Sicilia" è considerato il suo capolavoro, dove, in 70 immagini, racconta episodi di riti privati, utili a delineare l'evoluzione della nostra società.
Antonino Scarcione 


Gaetano Masuzzo/cronarmerina

domenica 8 novembre 2015

Lo stemma del Crocifisso/4 e ultimo

Lo stemma sul portale della chiesa del SS. Crocifisso con la scritta in risalto
Nel post precedente eravamo arrivati al Libro dei Numeri, dove avremmo trovato il significato della "Croce avvolta da un serpente" rappresentata nello stemma della chiesa del SS. Crocifisso. Questo libro scritto in ebraico, poi tradotto in latino, è chiamato dei Numeri perché si apre con un censimento, ovvero l'elenco delle famiglie appartenenti alle 12 tribù che formeranno il futuro Israele e rappresenta il IV libro della Bibbia cristiana e della Torah ebraica. Nei 36 capitoli di cui è composto, descrive la storia degli Ebrei (viaggi, problemi, norme, battaglie con altre popolazioni, conflitti interni) durante la loro sosta nel deserto del Sinai intorno al 1200 a.C. Nel capitolo 21 (quello, appunto, ricordato in numeri romani - XXI - nello stemma nella foto) si legge: "Durante la lunga marcia in pieno deserto, i nomadi cominciarono a lamentarsi per il viaggio e per le fatiche. Niente acqua né pane: scarsità di cibo al punto che anche la manna dono del cielo, li disgustava. L'Onnipotente allora reagì per castigare quegli incorreggibili contestatori. Mandò dei serpenti infuocati il cui morso decimò i ribelli. Come sempre si dovette ricorrere all'indulgente bontà di Mosè. Il grande intercessore chiese grazia e ricevette l'ordine che pose fine all'ecatombe. Il Signore gli disse: Fatti un serpente di bronzo e mettilo sopra un'asta: qui percussus aspexerit eum, vivet (chiunque, dopo essere stato morso, lo guarderà, resterà in vita). Il flagello fu scongiurato, non per magia, ma per grazia divina che, con un semplice sguardo di fede sul rettile di metallo, rendeva immuni dal veleno mortale del terribile serpente". Quest'immagine, ricca di simbolismo, è dovuta al fatto che i popoli dell'antichità pensavano che il serpente strisciando per terra, raccogliesse ed inglobasse tutte le impurità, per poi restituirle con il suo veleno. Dal momento, poi, che cambia pelle ogni anno in primavera e che è solito puntare uno sguardo fisso e avvincente sulla vittima, era considerato anche segno di immortalità. L'unico modo di impedire l'opera letale del serpente consisteva nell'innalzarlo, per allontanarlo dal contatto con il male presente sul suolo. Paradossalmente, proprio guardando un serpente di bronzo, gli israeliti, che rischiavano di morire a causa dei serpenti, venivano salvati. Da simbolo di morte, il serpente diventava simbolo di salvezza e di vita. In egual misura la croce, esibita per incutere paura perché strumento di morte lenta e dolorosa diventa, con l'atto d'amore di Cristo che sulla croce muore, rappresentazione di salvezza di vita. Il simbolismo cristiano, quindi, appare chiaramente: il serpente di Mosè è prefigurazione del Cristo Crocifisso e mentre gli Ebrei non riebbero che la salute fisica, il sacrificio di Cristo ridà salute dell'anima proiettandola verso la vita eterna. Per essere salvati occorre, dunque, guardare a Cristo sulla croce perché qui percussus aspexerit eum, vivet (chiunque la guarderà, resterà in vita). Messaggio più preciso di quello racchiuso in questo stemma, sarebbe stato difficile trovare per questa chiesa dedicata al Crocifisso. 
Ma in 250anni quante generazioni di Piazzesi, più o meno istruite, hanno avuto la fortuna di ricevere quest'informazione, varcando il portale dell'Insigne Collegiata o soltanto ammirandone la facciata il Venerdì Santo quànn nèsc u S'gnù?

Per approfondire e raccogliere altre interessanti notizie sulla chiesa del SS. Crocifisso è consigliata la lettura del libro di Mario Zuccarello, Chiesa Collegiata SS. Crocifisso Piazza Armerina, Ed. Terre Sommerse, Roma, 2011, da me consultato per trarre la maggior parte delle notizie riportate sui 4 post. 

Gaetano Masuzzo/cronarmerina

venerdì 6 novembre 2015

Lo stemma del Crocifisso/3


Lo stemma sul portone principale della chiesa del SS. Crocifisso

Lo Stemma sul portale

Dopo aver brevemente accennato alla storia dell'edificazione della chiesa del SS. Crocifisso nel più antico quartiere di Piazza, si può benissimo passare a trattare del significato dello stemma che campeggia sul portale principale dell'edificio ecclesiastico che, complessivamente, presenta un rilevante motivo di novità, rispetto alle altre chiese: l'ubicazione della cupola a cilindro non sull'abside ma al centro della stessa chiesa. Questa particolarità, unita alla grandiosità, fa sì che la cupola venga facilmente individuata non da chi sta nelle vicinanze, ma da chi ammira il panorama della città in lontananza¹, da Sud-Ovest. Infatti, chi proviene da Barrafranca, se alza lo sguardo dalla chiesa dell'Indirizzo, le prime cose che nota distintamente sono le imponenti cupole del Crocifisso a sx e, poco più in alto, del Duomo a dx. Ovviamente, se una chiesa viene intitolata al Crocifisso è normale che lo stemma principale racchiuda una Croce, ma in questo caso particolare la troviamo avvolta da un serpente. Per chi non ha dimestichezza con le Sacre Scritture, questa particolarità risulta oscura e di difficile comprensione. Invece, facendoci guidare e, quindi, illuminare da chi le ha già lette e studiate, possiamo arrivare anche noi alla soluzione. Questa la troviamo molto esaustivamente nel libro di Mario Zuccarello, Chiesa Collegiata SS. Crocifisso Piazza Armerina, Storia, segni, tradizione e devozione, Ed. Terre Sommerse, Roma, 2011, pp. 32 e ss.: "Sopra la cornice muraria di pietra arenaria locale del portone principale è situata una scultura di grande valore iconografico e teologico che rappresenta il serpente di bronzo del Sinai, figura profetica della croce di Gesù. Il serpente di bronzo, innalzato da Mosè, si trova nel Libro dei Numeri (21,4-9)". (continua)

¹Se ci avete fatto caso, la stessa considerazione vale per il maestoso campanile della chiesa di San Giovanni Evangelista, non si nota la grandezza se non da lontano, nessuno lo ammira dalle vicinanze. Lo si intravede a stento dal primo tratto della via Umberto, quando si arriva davanti la chiesa del Purgatorio. 

Gaetano Masuzzo/cronarmerina
      

mercoledì 4 novembre 2015

Lo stemma del Crocifisso/2

Chiesa del SS. Crocifisso, quartiere Monte, 1720-1785

 Breve storia della chiesa del SS. Crocifisso

L'edificazione della chiesa del SS. Crocifisso, iniziò nel 1720 per la necessità di sostituire quella dedicata a Santa Domenica, minacciata da imminente rovina perché troppo vicino al pendio (a còsta) Sud-Ovest dell'antico centro abitato. Questa chiesa, che esisteva sin dal XVI sec. tra le odierne via Santoro e via Campagna San Martino, aveva già una Confraternita col suo stesso nome, poi sostituito con quello del Crocifisso miracoloso che ospitava in una cappella al suo interno dagl'inizi del Seicento. Il Crocifisso, scolpito dal maestro Antonio Cultrera, sempre meta di pellegrinaggi, prima era ospitato sull'altare di legno a sinistra dell'ingresso principale della chiesa di S. Nicola di Bari, dal 1651 intitolata alla Madonna della Catena. Nel 1675 Matteo Calascibetta barone di Malpertuso¹ e S. Basilio vi istituì, per testamento, un collegio di 12 canonici diretti da un prevosto, volontà poi attuata nel 1698. Successivamente il Capitolo s'ingrandì con 38 Prebendati, 18 Canonici e 17 Sacerdoti. L'abbattimento della chiesa in rovina e la costruzione della nuova su un pianoro più a monte, furono eseguiti, tra il 1720 e il 1785, grazie alle volontà di Paolo Trigona Marchiafava barone di Casalotto². Nel 1777 i componenti della Collegiata della nuova chiesa del SS. Crocifisso raggiunsero il numero di 39 tra Dignità, Canonici e secondari. Nel 1813, nella domenica successiva alla Pasqua, un incendio distrusse il principale altare e il Crocifisso, ma la devozione di tutto il popolo in 6 mesi ne riparò i danni, come ci ricorda la lapide in chiesa. Dopo l'erezione della Diocesi di Piazza nel 1817, nella chiesa del Crocifisso rimase la Collegiata, prima della nuova Diocesi. Per questo motivo e per il fervore cristiano del popolo, sempre vivo durante la Quaresima e la Settimana Santa, il vescovo Mons. Sturzo (1861-1941) la eresse nel 1934 a Parrocchia che, allora, comprendeva ca. 3.000 anime. (continua)

¹ Feudo nei pressi di Nicosia (EN).
² In realtà il nome completo del nobile-benefattore era Pietro Paolo barone di Casalotto e Scarante ed era il III figlio di Francesco Trigona Miccichè barone di Spedalotto e Cugno sposato con Rosalia (Maria?) Marchiafava, baronessa di Scaletta e Casalotto, originaria di Calascibetta. 

Gaetano Masuzzo/cronarmerina            

lunedì 2 novembre 2015

Maledetta fu la carrozzella

Questo racconto di Camilleri, che oggi l'amica Maria Assunta ha appositamente riportato su un social network, era la nostra giurnàda dî mòrti. Niente da aggiungere a tante identiche emozioni fanciullesche se non l'oggetto che, in un certo senso, mi fece diventare adolescente tutt'una volta, rovinandomi. Il giorno prima dî morti, mentre rovistavo nell'armadio della camera da letto dei miei genitori, non ricordo il motivo (come se ce ne fosse stato bisogno di uno ben preciso, per rovistare in giro),  alzando una falda di un cappotto, gli occhi mi caddero su una ruota, come quella della carrozzella nella foto. Quella cosa che luccicava, faceva parte del regalo dî morti per una delle tante mie cugine, che i miei genitori avevano pensato di nascondere. Per qualche giorno mi tenni il segreto, per gustarmi come gli anni precedenti il mio fucile e la mia pistola da cawboy sparando a destra e a manca, ma poi non resitetti più e, incoscientemente e maledettamente, lo svelai ai miei. Che mai l'avessi fatto: f'nìnu i regali dî morti, FOREVER! 

Gaetano Masuzzo/cronarmerina   

Sfogo sentimentale



 Che cosa c'è di più cordiale e piacevole di una rimpatriata tra compagne di classe? Eccovi lo sfogo sentimentale in gallo-italico maccheronico di una di loro.

A R'patriàda

E cu mai l'avissa dit?
Dop tant'anni ch' nan n' frequentav'mu 
D' r'truvarn staséra zzà
S'ttati 'ntornu a sta bedda tavula 'mbandita.

U cor cuntent
Mutu p' l'emozion e a vocca
 Cu tanta vogghia d' parrè
D' cunters d' l'anni passadi 'nsemu
Sovra i banchi d' scola
Quann 'npoch ciù ranni d' carusetti
L'un'ca preoccupazion,
Appena u professur d'sgeva "Ora interroghiamo",
Era codda d' mucciars
Darrera i spaddi d' cu ggh' stava s'ttat davanti
P' nan s' fè 'ngagghièr.

Bellissimi quegli anni
Ma u tempu passa 'ncurrenn
S' crisc, ognun fa a so strata
Cu pigghia d' zzà cu pigghia d' ddà
E i cumpagni d' scola, non tutti però, 
S' perdunu d' vista.
Quarch'dun poi s' n' va fora d' Ciazza
E dda resta p' travagghiè
Mentr u temp passa e i r'gordi s'annebbianu
Mancumal c'ogn'ann r'torna puntual
U mis d'aost
E altrettanto puntual
R'torn'nu chiddi ch' s' n'avn'annat.

Accuscì, cam'nàn pi strati d' Ciazza
Tuttu u passat r'torna 'nmente
E s' cumenza a sprè d' 'ncuntrè cost o codd
E cussà com s'ha fatt, cussà s' s'ha spusat, 
S' gghiav' figghi o n'put'?
Poi... ciau ciau, na stritta d' manu
Nbasciun e "N v'duma u pross'm aost".

Ma dall'altr'ann, p' gnautri quattru cà pr'senti:
Rosa, Annetta, Daniela e Rosalba, nan è ciù accuscì.
Nan basta ciù 'ncuntrers pa strata.
N'corp di telef'nu
E u quartett di beddi cumpagni d' scola,
(S'è p' coss: gghiù poi dì ch'è 'nbeu quartett)
S' riunisc', cùi rispettivi consorti,
P' passè na bedda s'rada all'insegna di r'gordi.

Accuscì, tra 'na p'zzetta e 'ncioccolattinu
S' parra du tempu ch' fu
Còm d'jeva a canzuna,
"Ch' passa e nan torna ciù".
Cussà s' poi è veru?


Rosalba Termini, novembre 2015

Gaetano Masuzzo/cronarmerina