Sepolcro barone Marco Trigona, XVII sec., Cattedrale, Piazza Armerina
Sepulcher baron Marco Trigona, 17th century, Cathedral, Piazza Armerina

giovedì 4 aprile 2019

Vizi e virtù dei Piazzesi

Piazza Armerina, Folla in Piazza Garibaldi, 1940

VIZI E VIRTU' DEI PIAZZESI
Nel 1654 il concittadino Antonino Chiarandà (1611-1666), giudice, studioso ed esperto di diritto, sacerdote e commissario ordinario del Sant’Uffizio, nonché giurato e sindaco di Platia, fa pubblicare a sue spese la Storia di Piazza, scritta dal fratello minore Giovanpaolo (1613-1701), padre professo e rettore preposito del nostro Collegio dei Gesuiti nel 1648 e nel 1661. Tra le tante fonti utilizzate dal Chiarandà, ci sono quelle di altri due piazzesi, il medico e scienziato Francesco Negro¹ e il francescano Marco Alegambe². È proprio da questi e soprattutto dal primo, che il Chiarandà apprende, per poi riportarli nella sua opera, le notizie sui costumi, i vizi e le virtù dei nostri antenati a cavallo dei secoli XV, XVI e XVII, del tutto identici a quelli dei nostri tempi. Ecco cosa scrive Giovanni Paolo Chiarandà nella sua opera³:

COSTUMI DE’ PIAZZESI
«Il benigno aspetto del Cielo, e l’amenità dello stato di Piazza, quali costumi habbia dà ingerire, il sappiamo dagl’antichi. Francesco Negro nella sua historia di Piazza scrive. I Piazzesi sono Acuti d’ingegno, Adulatori, Superbi, che l’uno non crede all’altro, Desiderosi di novità, Invidiosi, Facili alla vendetta, Stuzzicati facili alla colera, parlano con due lingue Nativa, e Siciliana, Amici della Campagna, Diligenti in accumular denari, e robbe, altrove così dice, Tolomeo vuole che l’influsso celeste, e qualità delle regioni della terra produca e nudrisca diverse complessioni d’huomini: e’l prova coll’essempio delle piante, che trapiantate in altre regioni, perdono l’antica sua natura, d’onde avviene, ch’ogni Città è soggetta alle sue proprie passioni, virtù, ò vitii, secondo la natura del paese; dalla qual lege non può alcuno essere esente, ne meno la nostra Piazza, nel conservar costumi à suoi figliuoli, corrispondenti alla bontà, perfettione dell’aere, che mostrano le piante: e per esser meridionale diviene più atta alla nutrizione; onde per ordinario i Piazzesi sono di corpo più presto grande, che picciolo, di color frumentino, sono Arguti, e Astuti nel parlare, sottili nell’inventare, Prudenti nel governare, Letterati in ogni scienza, Desiderosi di sapere, Periti in tutte l’arti, Desiderosi d’esercitarsi nell’armi, Amici de’ forastieri, fra loro Nemici, e Invidiosi, Facili all’ingiurie, e più alla vendetta, e per l’abbondanza del paese, i rustici sono Indomiti, che havendo pane abbondante; ò per la facilità di ritrovarlo, ò perche sono di natura superbi, non stimano ad alcuno. Così Francesco Negro, ma l’Alegambe, scrive alcun’altre particolarità, dicendo che l’inclinatione, o istinto naturale de’ Piazzesi si cava dalla natura del Clima, o zona, sotto la quale vive Piazza, con l’elevatione del Polo eminente come tutti gl’altri del Regno: Ma perche il nostro astrolabio, mai potrà arrivare all’osservationi, che intorno à questo fece quel grande indagatore de’ segreti della natura, Francesco Negro, compatriota nostro, che morì nella cima di Mongibello, per investigare le meraviglie di quel fuoco, di cui fà mentione honorata Fazello: però alla sua astrologia n’atterremo, e solamente quello scriveremo, che questo grand’huomo registrò nella sua historia, e compose di Piazza, intorno à costumi de’ suoi Concittadini, sono dunque arguti, dice, e ben il dimostrò, quel Fra Bartolomeo di Piazza Francescano; mandato dà Siciliani, contato già il Vespro Siciliano, al Re Carlo d’Angiò in Calabria, con l’argutia, che usò rispondendo al Re (come si disse à suo luogo.) Quanto fedeli siano i Piazzesi, il dimostrano i casi seguiti con i Prencipi, nelle considerazioni, con Giovanni Branciforte, con Ruggieri lo Schiavo, con Corrado Lancia, e altri. Dedicati alla militia, come quelli, che discendono dà Soldati Greci. Così l’Alegambe. e questo ancora basti à noi, che per osservare le legi historiali, habbiamo il bene, e’l in questo luogo raccolto».

Costumi dei Piazzesi
«Il bel paesaggio, le attrattive e i costumi di Piazza li conosciamo dagli antichi. Francesco Negro nella sua storia di Piazza scrive: “I Piazzesi sono acuti d’ingegno, adulatori, superbi, così tanto che l’uno non crede all’altro. Desiderosi di novità, invidiosi, facili alla vendetta. Stuzzicati, sono facili alla collera, parlano due lingue, la nativa e il siciliano. Amici della campagna sono diligenti ad accumulare denaro e proprietà”. In altre pagine il Negro continua: “Tolomeo vuole che l’influsso celeste e le qualità delle regioni terrestri influiscano sul carattere degli uomini. Come accade per le piante che, trapiantate in altre regioni, perdono l’originale natura, così accade per ogni città che assume le proprie passioni, virtù o vizi, secondo l’ambiente in cui si trova. Questa è una legge a cui nessuno può sottrarsi, nemmeno la nostra Piazza che nel tramandare usanze, abitudini e modi di vivere ai suoi figli, come la bontà e la qualità dell’aria, fa come le piante, le quali per essere presenti in meridione, facilitano la nutrizione. Per questo motivo i Piazzesi sono di costituzione più grandi che piccoli, di carnagione biondo dorato, arguti, astuti nel parlare, sottili nell’inventare, prudenti nel governare, colti, desiderosi di apprendere, competenti in tutte le arti, volenterosi nell’esercitarsi con le armi e amici dei forestieri. Tra loro sono nemici e invidiosi, facili alle ingiurie e alla vendetta. Per la copiosità delle coltivazioni i contadini sono forti e tenaci, tanto che avendo cibo in abbondanza, sia per la facilità di reperirlo, sia perché sono superbi, non stimano alcuno”. Così ci informa il Negro, mentre l’Alegambe scrive altre particolarità dicendo: “L’inclinazione o l’istinto naturale dei Piazzesi deriva dal clima del luogo in cui si trova Piazza, come tutti gli altri centri abitati del Regno. Però, dato che il nostro modo di osservare, mai potrà arrivare al livello di quello del grande indagatore dei segreti della natura, Francesco Negro, nostro concittadino, che morì in cima all’Etna, per investigare le meraviglie di quel fuoco, di cui il Fazello ne fa onorata menzione, noi ci atterremo alle sue osservazioni e scriveremo qui, ciò che questo scienziato scrisse e compose nella sua storia di Piazza intorno ai costumi dei suoi concittadini: “sono dunque arguti, dice, e ben lo dimostrò quel frate francescano Bartolomeo da Piazza che, mandato dai Siciliani al tempo del Vespro Siciliano, presso il re Carlo d’Angiò in Calabria, usò rispondere con arguzia al Re. Alla domanda di questi “quanto fedeli siano i Piazzesi”, il frate rispose “lo dimostrano i comportamenti da discendenti dei soldati greci fedeli ai sovrani, di Giovanni Branciforte, Ruggero Sclavo, Corrado Lancia e altri”. Così l’Alegambe, e questo ci deve bastare, in quanto spiega come storicamente il bene sia presente in questo luogo».
¹ Francesco Negro o Nigro, nato a Piazza prima del 1479 morì sull’Etna il 24 marzo 1536. Medico, filosofo e sommo cultore delle scienze fisiche, astronomiche e chimiche, divenne geologo e scienziato di gran fama. Si trovava sull’Etna, spinto dallo studio della vulcanologia, per controllare da vicino un’imponente eruzione del vulcano, quando trovò la morte perché colpito da un lapillo, precipitò nel magma incandescente. Lasciò un manoscritto sulla storia di Piazza, spesso menzionata dal Verso, Alegambe e Chiarandà, una monografia di storia naturale e un trattato sui vulcani e sulle cause delle eruzioni e dei terremoti. Pubblicò un corso di epistole, nelle quali encomia le dottrine di alcuni sapienti piazzesi e rilevò, con precise distanze matematiche, la pianta dell'Etna con le rispettive altitudini e strutture (L. Villari, Storia della città di Piazza, 2013; T. Fazello, De rebus siculis, 1560; A. Roccella, Storia di Piazza, Uomini Illustri, ms., sec. XIX).
² Marco Alegambe o Ligambi o Li Gambi, nato a Piazza nel 1578 morì a Siracusa nel 1647. Frate minore osservante, fu filosofo, teologo e storico, lasciandoci nel 1640 una Storia di Piazza. Nei primi anni del Seicento, come padre guardiano del  convento francescano di San Pietro, abbellì e ampliò di nuove cappelle la chiesa (A. Roccella, Storia di Piazza, Uomini Illustri, ms., sec. XIX).
³ Chiarandà Giovan Paolo, Piazza città di Sicilia antica, nuova, sacra e nobile, per gli'Heredi di Pietro Brea, Messina 1654, libro II, cap. X, pp. 140-141. L'opera è composta da quattro libri: Piazza Antica, Piazza Nuova, Piazza Sacra e Piazza Nobile.

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