Il corbezzolo e i suoi frutti
Proprio in questo periodo dell’anno, un albero diffuso in tutta l’area mediterranea, dopo la sbocciatura a grappolo di piccoli fiori bianchi a campanula, ha prodotto dei frutti tondeggiandi di un bel rosso acceso, come quelli nella foto. Si tratta dell’Arbutus unedo o Àlbatro, altrimenti conosciuto in Italia come Corbezzolo (Salernitano), a Piazza ‘Mbriaccòt (Ubriaco). È un albero di modeste dimensioni dallo sviluppo disordinato e con fogliame brillante sempreverde col margine seghettato, il cui fusto è un ottimo combustibile per il riscaldamento casalingo, ma il suo utilizzo maggiore è per gli arrosti grazie alle sue caratteristiche aromatiche. Il corbezzolo è un legno molto robusto e pesante, e si racconta che nell’antica Grecia fosse ricercato per tornire dei piccoli flauti. Per il bel colore vivo delle bacche, in contrasto con la chioma brillante, l’albero è denominato "pianta dell'ospitalità", perché posto solitamente all'ingresso delle dimore dei feudatari, in prossimità dei cancelli, era il benvenuto adeguato per gli ospiti. Oltre allo scopo decorativo, esiste quello di ottenere dei buoni frutti dal sapore molto dolce da consumare crudi o in marmellata. Il sapore però per alcuni è fastidioso, ecco da dove deriva il termine unedo. Plinio il Vecchio, in contrasto con l'apprezzamento che in genere riscuote il sapore del frutto, sosteneva che esso fosse insipido e acidulo (ricorda i frutti del Sorbo) che quindi dopo averne mangiato uno (unum = uno e edo = mangio) non viene voglia di mangiarne più. Pertanto, al nome dato da Virgilio, che nelle Georgiche lo chiama semplicemente Arbustus (Arbusto), si aggiunge quello di Plinio, unedo. I frutti, come si è detto, si possono consumare direttamente, farne delle confetture o delle mostarde o, conservandoli sotto spirito, dei liquori. Ed è proprio con la fermentazione che forniscono una buona acquavite, dal cui distillato si ricava una bevanda alcolica. Da ciò nasce il nome piazzese ‘Mbriaccòt (che fa ubriacare). Attorno a questo bellissimo albero, esistono diversi aneddoti e curiosità. • La rudimentale barella di Pallante, figlio di Evandro e grande compagno di Enea, con cui fu portato “fuori dalla pugna” venne intrecciata con rami di Corbezzolo. Pallante era stato il primo ad avvistare la nave dei profughi di Troia, guidati da Enea, che risaliva il Tevere. Fu poi ucciso da Turno, re dei Rutuli. Quest’ultimo, sfidato da Enea in combattimento, venne a sua volta sopraffatto e ucciso consentendo così ad Enea di vendicare la morte del suo grande amico. Successivamente Enea sposò Lavinia, figlia del re Latino, che però prima era stata promessa a Turno. Dopo questi fatti venne fondata la città di Lavinia, che dovrebbe essere l’odierna Pratica di Mare. • Forse partendo anche da questi lontani spunti, vari Autori indicano come il Corbezzolo fosse poi divenuto un albero risorgimentale. Quindi un simbolo dell’Unità d’Italia per la sua storia, ma anche e soprattutto per i suoi colori autunnali delle foglie (verde), fiori (bianco) e frutti (rosso), che rievocano quelli della bandiera della Repubblica Cispadana prima (Tricolore orizzontale, Reggio Emilia 23 dicembre 1796), della Repubblica Cisalpina poi (Tricolore verticale, 7 gennaio 1797) e, infine, del Regno e della Repubblica Italiana. Ecco perché il corbezzolo è chiamato anche “la pianta di Garibaldi”. • Il Monte Cònero, dal nome greco del Corbezzolo (κόμαρος - pron. Kòmaros), è il promontorio sulle cui pendici settentrionali, dove la vegetazione è appunto ricca di arbusti di quest’albero, sorge la città di Ancona. Qui una secolare tradizione voleva che gli abitanti della zona accorressero nel giorno dei santi Simone e Giuda (28 ottobre) nelle selve per cibarsi abbondantemente dei frutti del corbezzolo incoronandosi dei rami della pianta, perpetuando così un rito bacchico rivisitato in chiave cristiana. Oggigiorno la festa del corbezzolo non è più celebrata ufficialmente, ma gli abitanti della zona del Cònero amano ancora recarsi nei boschi del promontorio per raccogliere i corbezzoli durante le belle giornate autunnali. • Un ramo di corbezzolo con due frutti è rappresentato nello stemma della Provincia di Ancona, a indicare la particolarità geografica maggiore della zona. • La città di Madrid ha come simbolo un'orsa poggiata su di un albero di corbezzolo. • Il poeta latino Ovidio parla del corbezzolo descrivendo la vita nell'età dell'Oro:
«Libera, non toccata dal rastrello, non solcata
dall'aratro, la terra produceva ogni cosa da sé
e gli uomini, appagati dei cibi nati spontaneamente,
raccoglievano corbezzoli, fragole di monte,
corniole, more nascoste tra le spine dei rovi
e ghiande cadute dall'albero arioso di Giove».
• Le leggende raccontano che rami di corbezzoli messi sugli usci servissero per proteggere le stalle e le culle dei neonati. Si narra di una vicenda mitologica in cui le strigi, strani uccelli con il becco da rapaci e le penne tutte bianche (si diceva fossero donne trasformate così, per magia!) tentarono di aggredire la culla di Proca, l’erede al trono di Alba Longa. Però con filtri magici, e un ramo di corbezzolo appunto, le nutrici riuscirono a salvare il bimbo dall’attacco delle predatrici.
• Da ultimo segnalo, anche per una certa somiglianza di forma dei frutti (che sono inconfondibili palline di colore rosso) che questi vengano associati alla dizione toscana di “corbelli”. Quindi si esclama: “non rompere i corbezzoli”, alludendo però a qualcos’altro!
cronarmerina.it
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