Monte Mangone di fronte Piazza Vecchia, dove 'Ngiulìnu scavò le due grotte per rifugiarsi con la famiglia dal bombardamento
La storia vera di un giovane di cento anni fa - 5
(continua dalla 4^ Parte) <<Completate le procedure e firmati gli accordi per la spartizione dei territori tra le Nazioni vincitrici e quelle sconfitte, i soldati pian piano vennero mandati a casa. Purtroppo il capitano Rapisarda non poté scendere al sud assieme ai suoi, ed allora consegnò una lettera a ‘Ngiulìnu da portare ai suoi genitori. Infatti, era stato promosso colonnello ed avrebbe dovuto fermarsi per almeno altri quattro mesi nella sede di Verona. ‘Ngiulìnu partì in treno assieme ai suoi compagni attraversando di nuovo tutta l’Italia. Impiegarono quattro giorni per raggiungere Catania e poi ognuno proseguì per il proprio paese. ‘Ngiulìnu però doveva prima recapitare la busta alla famiglia del capitano. I genitori abitavano in pieno centro in un lussuoso palazzo. Quando bussò alla porta, venne ad aprire un cameriera che guardò con sospetto quel ragazzo magro, sporco e con una divisa che gli penzolava addosso. La consegna della busta, riempì di gioia i genitori che vollero a tutti i costi che ‘Ngiulìnu di fermasse a pranzo da loro. Non poté rifiutare, ma prima, arrossendo come un gambero, chiese se poteva fare un bagno perché dopo quattro giorni di treno a vapore non era proprio avvicinabile. Il giorno dopo finalmente vi fu il ritorno a casa dai propri genitori. Tra i tanti che partirono per il fronte, e i pochi che ritornarono vivi, il bersagliere ‘Ngiulìnu, classe 1893, del X Bersaglieri-Arditi, portò con se solo l’orologio da tasca, che risultò l’unica ricompensa, oltre alla medaglia di Cavaliere di Vittorio Veneto che gli fu consegnata dopo tanti anni. Invece aspettò invano il premio dell'assicurazione di 1.000 lire che gli sarebbe toccato come reduce di guerra! La guerra finì nel 1918 ed i reduci abili al lavoro si preparavano ad affrontare una nuova vita. Erano ragazzi che non avevano potuto trascorrere una serena gioventù a causa degli eventi bellici ed ora speravano in un mondo migliore. Nessuno avrebbe mai immaginato che il loro destino sarebbe stato deciso da due uomini, uno italiano e l’altro austriaco. Il primo, nato nel 1883 a Predappio e deceduto il 29 luglio 1945, l’altro, nato il 20 aprile 1889 in Austria, esattamente a Braunau am Inn, vicino a Linz e deceduto a Berlino il 30 aprile 1945. Entrambi, per nostra fortuna, morirono in circostanze drammatiche, ma prima ebbero il tempo di portare a morte milioni di uomini e donne sconvolgendo completamente il mondo intero. Tuttavia i morti e le sofferenze patite dal genere umano nel 1914-‘18, furono niente rispetto a quello che successe nei cinque continenti nei terribili anni 1940-‘45. Quando scoppiò la seconda guerra mondiale, ‘Ngiulìnu aveva ormai 47 anni e non venne richiamato alle armi. Dovette però assaporare da molto vicino gli orrori di questo nuovo conflitto perché, per una serie di sfortunate circostanze, si ritrovò proprio in mezzo alla battaglia. Quando, infatti, vi fu il famoso sbarco in Sicilia delle truppe alleate, esattamente a Gela, i tedeschi opposero una forte resistenza tanto da rivoluzionare completamente i piani degli invasori. ‘Ngiulìnu e la sua famiglia, trovandosi in una zona dove sicuramente vi sarebbero stati passaggi di truppe tedesche in ritirata decisero, assieme ad altri vicini di casa, di spostarsi in una località lontana dalla città e di sistemarsi in due casette in campagna. I primi giorni fu come essere in villeggiatura. La gente si ritrovava sotto grandi alberi di fichi per pranzo e cena; i ragazzini scorrazzavano in lungo e in largo e tra i grandicelli scoppiavano i primi amori. Una mattina, con loro grande stupore, videro che in cima ad una collina, gli artiglieri tedeschi stavano sistemando dei cannoni. Rimasero tutti a guardare, ma non ebbero nemmeno il tempo di decidere su cosa fare che all’improvviso, da una zona molto lontana, sentirono un grosso frastuono; erano delle potentissime cannonate sparate dagli alleati che avevano già individuato la postazione nemica cercando di colpirla. Immediatamente i tedeschi incominciarono a rispondere al fuoco, solo che i primi tiri non erano molto precisi e, soprattutto quelli degli alleati, erano ancora molto corti tanto che alcuni caddero molto vicini alle due casette di ‘Ngiulìnu ed amici costringendoli a ripararsi vicino ad un terrapieno. Tutti erano atterriti e ‘Ngiulìnu ricorda bene che riuscivano a vedere la traiettoria delle bombe che arrivavano e quelle che partivano in risposta dei tedeschi. Poi, all’improvviso vi fu il finimondo. Due grossi obici, come se fossero stati teleguidati, colpirono con precisione le due casette, distruggendo tutto e lasciando solo macerie. Il gruppo era terrorizzato ed allora ‘Ngiulìnu, visto che la battaglia continuava senza interruzione, suggerì ai capifamiglia di incominciare a scavare una grotta nel terrapieno lì vicino perché, se vi fosse stato un altro tiro ancora più preciso, di quelle 12 persone non si sarebbe trovato più nulla. Fu così che, tra una bomba e l’altra, tutti si misero a scavare mentre le donne cercavano di recuperare quanto più materiale possibile da portare via dalle macerie. In poche ore ‘Ngiulìnu e gli altri avevano scavato una grotta così ampia da poter ospitare tutta la compagnia. All’ingresso furono sistemate delle assi e qualche sacchetto di sabbia per attutire eventuali schegge vaganti >>. (continua) Angelo MASUZZO
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